Come abbiamo visto nelle settimane scorse, Gesù è a Gerusalemme.
Il vangelo di questa domenica è tratto dall’ultimo discorso che pronuncia prima che inizi il racconto della passione. Si tratta di un discorso non immediatamente comprensibile, perché appartiene a un genere letterario che non siamo più abituati a usare, il genere escatologico.
La parola “escatologia” deriva dal greco éschata, cioè “le cose ultime” e fa riferimento alle riflessioni sul destino ultimo dell’essere umano e, più in generale, della storia.
Il brano proposto dalla liturgia è una parte di un più ampio discorso che, nel vangelo di Marco, occupa il capitolo 13. In esso, Gesù annuncia che ci saranno tempi di grande tribolazione («Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie», Mc 13,8), che toccheranno direttamente la vita dei suoi discepoli e delle sue discepole («Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia», Mc 13,9; «Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome», Mc 13,12-13). Si tratterà di tempi di grande confusione e smarrimento («Se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti», Mc 13,21-22), nei quali, tuttavia, il Signore e la sua parola saranno presenti («Prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni», Mc 13,10; «Quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo», Mc 13,11; «E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni», Mc 13,20).
Non è difficile intravvedere in questa descrizione non tanto la predizione di ciò che accadrà a una generazione in particolare, ma il ripetersi di dinamiche che interessano ogni generazione di credenti.
Tutti/e noi siamo testimoni di tempi di grande tribolazione (guerre, disastri naturali, carestie), di persecuzioni che toccano la nostra vita a causa della nostra fede, cioè del nostro personale modo di intendere il vangelo, di relazionarci al Signore e di impostare la nostra esistenza (basti pensare a tutte le volte che siamo stati/e guardati/e con supponenza per ciò in cui credevamo, a tutte le volte che siamo stati/e messi/e da parte, sbeffeggiati/e, abbandonati/e, esiliati/e). Anche noi ci siamo ritrovati/e smarriti/e, confusi/e, incerti/e sul passo da porre nella nostra esistenza.
È anche rivolta a noi, dunque, la seconda parte del discorso escatologico, inaugurato dai versetti del brano di questa domenica: «Dopo quella tribolazione…».
Dopo quella tribolazione, Gesù annuncia il suo ritorno, caratterizzato da un “radunare”, “riunire”, “raccogliere insieme” i suoi e le sue.
Una domanda potrebbe sorgere: perché questa sterminata fatica non è risparmiata? Perché non si può saltare questa parte della storia così fracassante? Perché magicamente non si può oltrepassarla con uno schiocco di dita?
Io credo, perché “saltare la storia” vorrebbe dire non esserci: noi siamo la nostra storia; senza il dipanarsi delle nostre giornate, delle nostre età, delle nostre scelte, delle nostre prese di posizione, dei nostri amori e dei nostri sforzi, noi non saremmo.
La magia è la grande illusione: ti fa credere di eliminare il problema, ma ciò che viene eliminato sei tu.
Gesù stesso non ha saltato la storia, ma l’ha attraversata fino in fondo, nei suoi risvolti più tragici e strazianti.
A ciascuno/a è dunque riconsegnata la propria esistenza, nella sua drammaticità.
C’è una promessa, però, che avvolge la nostra storia: ci aspetta una ri-unione.
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grazie
Grazie