Il vangelo di questa domenica ci presenta una situazione piuttosto anomala: l’incipit («Si avvicinò a Gesù uno degli scribi») indurrebbe infatti a pensare che – per l’ennesima volta – si stia profilando uno scontro tra Gesù e l’intellighenzia religiosa del suo tempo.
L’esito di questo incontro invece è inaspettatamente positivo: «Lo scriba gli disse: “Hai detto bene”» e Gesù, «vedendo che egli aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”».
Il punto è dunque capire perché, a differenza di tutti gli altri incontri con l’élite culturale del popolo ebraico, questa volta i toni sono di reciproca stima.
Innanzitutto va detto che questo scriba pare approcciarsi a Gesù senza il secondo fine di metterlo in difficoltà, come invece avevano fatto appena prima alcuni sadducei (cfr. Mc 12,18-23).
La domanda posta, inoltre, non è capziosa, ma va dritta al cuore della questione: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?», che potremmo parafrasare così: “Quale deve essere il criterio fondamentale che orienta la vita?”.
Non si tratta infatti di prendere una lista e scegliere quale regola mettere al primo posto, ma di individuare l’orizzonte di senso che inquadri il nostro esistere.
Detto più semplicemente, la domanda potrebbe suonare così: in base a cosa prendo le decisioni strutturali della mia vita e, allo stesso tempo, in base a cosa, volta per volta, nelle scelte quotidiane, decido cosa fare, cosa dire, come reagire, che tipo di persona essere?
Gesù risponde, mettendo in campo tre soggetti: Dio, il prossimo, se stessi. E rispetto a ciascuno di essi il criterio è “amare”.
Secondo Gesù, l’esistenza va attraversata amando Dio, il prossimo e se stessi. Il criterio delle nostre scelte deve essere l’amore per questi tre soggetti.
Il riportarli in questo ordine non deve indurre però a pensare che ci sia una graduatoria.
Spesso noi – senza accorgercene – abbiamo come il retropensiero per cui l’amore per Dio stia in un “cassetto” interiore diverso (e più importante) rispetto al “cassetto” dell’amore per gli altri o a quello dell’amore per se stessi (solitamente l’ultimo della classifica).
In realtà la parola usata dal vangelo è sempre “agapeis” = amerai.
Il “cassetto” è il medesimo e i tre destinatari dell’agape (dell’amore) stanno in circolarità.
Certo è possibile innescare un circuito vizioso, in cui il disprezzo, l’indifferenza e la violenza verso se stessi, gli altri, Dio possono alimentarsi a vicenda.
Ma Gesù propone invece un “circolo virtuoso”, in cui l’amore (il rispetto, la custodia della dignità, la cura, l’empatia, la benevolenza, l’ascolto, la tenerezza…) per se stessi, ci insegna come amare il prossimo e ci colloca in un orizzonte d’amore originario e definitivo (Dio).
Oppure, partendo dal prossimo: è scoprendo come si rispetta l’altro, come si custodisce la sua dignità, come ci si prende cura di lui, come si empatizza con lui, gli si vuole bene, lo si ascolta, si è teneri… che si impara ad esserlo con se stessi e a collocarsi in un orizzonte d’amore incondizionato (Dio).
Oppure, è partendo dal sapersi da sempre, per sempre e comunque amati da Dio, che si impara ad avere uno sguardo rispettoso, custodente, accudente, empatico, benevolente, disponibile, tenero con se stessi e con gli altri.
Non importa da dove parti, basta che cominci ad amare.