Nel brano evangelico di questa domenica, Gesù utilizza lo stesso escamotage parabolico che abbiamo già incontrato in varie situazioni: fa prendere posizione ai suoi interlocutori rispetto al comportamento di uno o più personaggi della storia che gli racconta e poi dice che – fuor di metafora (o fuor di parabola) – i personaggi che hanno appena criticato rappresentano proprio loro stessi.
La storia è questa: un padrone, che ha piantato una vigna, l’ha circondata con una siepe, vi ha scavato un frantoio e costruito una torre, affida il tutto a dei vignaioli. Quando è ora di raccogliere i frutti, manda i suoi servi per prendere il raccolto, ma questi vengono bastonati, uccisi, lapidati. La stessa cosa avviene ad altri servi più numerosi e, infine, anche al figlio del padrone.
È a questo punto che Gesù chiede a chi lo ascolta di esprimersi sul comportamento dei vignaioli della storia: «Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?».
I capi dei sacerdoti e degli anziani rispondono senza esitare: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Ma così facendo, cadono proprio nel tranello teso per loro da Gesù, che è pronto a ribaltare su di loro il giudizio che hanno appena espresso: loro rappresentano infatti i vignaioli della parabola, quelli dei quali avevano detto che erano «malvagi» e che si sarebbero meritati di «morire miseramente», perdendo la vigna e tutti i suoi frutti, i quali sarebbero andati ad «altri vignaioli».
Sentenzia infatti Gesù: «Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
Vi è dunque un’identificazione tra i vignaioli e i capi dei sacerdoti e gli anziani e tra la vigna e il regno di Dio. Allo stesso modo nella parabola il padrone rappresenta Dio; i suoi servi, i profeti; e il figlio, Gesù stesso.
Il significato della parabola è dunque durissimo, con una portata politico-religiosa decisamente esplicita rispetto ad altre pagine evangeliche: le alte cariche religiose ebraiche, alle quali era stata affidata la vigna del Signore (cioè il popolo di Dio, la costruzione del suo regno), hanno voluto impossessarsi di quella vigna («visto il figlio, dissero tra sé: “Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità”»), renderla “una cosa loro”, non più di Dio, imponendo le loro regole. Nemmeno di fronte al figlio del padrone hanno riconosciuto di non essere loro i padroni, di essere solo degli usurpatori (di posti, di potere, …) e – per mantenere la messinscena – l’hanno ucciso, trasformando la vigna (il regno) in una contraffazione.
Ma – ecco la profezia di Gesù – la vigna, il regno, il popolo di Dio rifiorirà – nella sua verità e autenticità – altrove, a partire proprio da coloro che – nella vigna contraffatta, nel regno dei vignaioli (cioè dell’apparato gerarchico usurpatore) – erano considerati degli scarti: «La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo».
In tutte le epoche sono all’opera vignaioli che si impossessano di vigne non loro e le dichiarano di loro proprietà, dandogli norme e strutture che non hanno nessun fondamento se non l’essere funzionali alla conferma del loro potere. Vigne che i vignaioli continuano a chiamare di Dio, ma dalle quali Dio è stato estromesso, insieme ai suoi profeti, a suo figlio.
È accaduto anche alla Chiesa, lungo la storia, e continua ad accadere in tanti pezzi di possibile regno (in tanti appezzamenti di vigna): è necessario dunque avere uno spirito critico per riconoscere i segni del regno autentico e essere operai di vigne autentiche.