Il brano di vangelo di questa settimana si inserisce nell’aspra discussione avvenuta tra Gesù e le autorità religiose ebraiche a Gerusalemme poco tempo prima dell’arresto e della condanna di Gesù stesso.
Anche in questo caso, Gesù parla attraverso una parabola, la quale rispecchia non solo il contrasto che lui personalmente ha avuto con i sacerdoti e gli anziani di Israele, ma anche quello che la comunità cristiana nascente ha avuto con il mondo giudaico.
Il problema di fondo era che la maggior parte degli Ebrei non riconosceva in Gesù il messia atteso e – di conseguenza – considerava la comunità dei discepoli una sorta di setta deviata dell’ebraismo.
Dal canto loro, invece, i giudeo-cristiani (la comunità a cui è indirizzato il vangelo di Matteo) riteneva di essere il nuovo popolo di Dio, che andava, in qualche modo, a sostituire quello dell’antica alleanza.
La parabola serve, quindi, per spiegare la realtà dal punto di vista cristiano.
Essa, infatti, pare narrare, in maniera nemmeno troppo velata, cosa hanno fatto della vigna del Signore gli originari vignaioli a cui era stata affidata (il mondo ebraico): essi hanno bastonato, ucciso e lapidato i servi che il padrone mandava a ritirare il raccolto e, in ultimo, hanno anche ucciso il figlio del padrone.
Ecco perché si sono resi necessari nuovi vignaioli.
La domanda che Gesù pone al termine del racconto, infatti, («Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?») è una domanda trabocchetto, perché coloro che rispondono (sacerdoti e anziani del popolo) non si rendono conto di essere loro stessi i vignaioli dei quali dicono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
Oggi questa parabola va contestualizzata con attenzione: essa fa riferimento alle vicende legate all’avvento del Signore e ai primi passi mossi dalla comunità cristiana. Non può certo essere usata contro il mondo ebraico odierno.
Molto più interessante, dal punto di vista della comunità credente di oggi, è domandarsi come i “nuovi vignaioli”, cioè i cristiani (e le cristiane), si stiano occupando della vigna.
Cos’è – fuor di metafora – il raccolto che il padrone si aspetta?
Ci viene in soccorso la prima lettura, che recita: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi».
È a questo livello che va appuntata la nostra riflessione: come credenti, come comunità cristiana stiamo costruendo un mondo di giustizia e rettitudine? Stiamo costruendo quello che il vangelo chiama Regno di Dio?
E – più radicalmente ancora – siamo almeno consapevoli che è questo che il Signore si aspetta?