La prima parte del vangelo di questa domenica è collegata con la prima lettura e affronta la questione del come porsi di fronte a coloro che, pur non essendo del “nostro giro”, portano avanti le nostre stesse battaglie o alcune di esse.
È un tema molto attuale anche per i cristiani.
Nel panorama culturale odierno, infatti, persone di fedi diverse o persone atee si muovono – come molti cristiani – per rendere migliore il mondo che abitiamo, per costruire quello che, con parole evangelicamente connotate, chiamiamo “il Regno di Dio”.
Come porsi di fronte a queste persone, alle loro iniziative, ai loro progetti, sapendo e non sottovalutando il fatto che su alcuni aspetti (anche molto importanti) sono distanti (e a volte oppositivi) rispetto al nostro credo, ai nostri valori, alla nostra sensibilità?
Sia la prima lettura che il vangelo paiono suggerire la strada della collaborazione, cosa che peraltro avviene già in molti contesti, seppur, a volte, con diffidenze reciproche e sempre rinascenti bisogni di segnare differenze e distinguo.
A me, personalmente, pare che la comune passione per l’umano, che ai cristiani nasce dal vangelo e agli altri da riferimenti di diverso genere, possa far scoprire (o riscoprire) una nuova solidarietà nella costruzione di un mondo migliore per tutti, rilanciando quella cultura del dialogo (tra diverse confessioni cristiane, tra diverse religioni e, in generale, con il mondo moderno) che il Concilio Vaticano II aveva proposto con vigore negli anni ’60 del XX secolo: «Guardiamo più a quello che ci unisce che a quello che ci divide», diceva Giovanni XXIII.
Vi è poi la seconda parte del vangelo, che prosegue passando bruscamente a un’altra questione: «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna», ecc…
Qui il discorso si fa arduo, soprattutto per me, che – alla soglia dei quarant’anni – mi sento esattamente a metà strada tra le generazioni che mi hanno preceduto e quelle che seguono.
Mi sono chiesta infatti che cosa pensi un anziano (cresciuto alla scuola di un cristianesimo ridotto a instillazione della paura dell’inferno), leggendo queste parole e, contemporaneamente, cosa possano pensare un ragazzo o una ragazza di oggi.
Ai primi, forse, le parole di Gesù suscitano immediatamente ansia: cosa devo “tagliare” per non finire all’inferno?
Ai secondi, credo, nasca nel cuore immediatamente un fastidio verso qualcuno che chiede di “tagliare” qualcosa del proprio essere.
Entrambi, a mio parere, sono in qualche modo vittime di un’interpretazione scorretta e però assai diffusa (tanto che anche un/a ragazzo/a che non è mai stato/a in chiesa l’ha respirata nell’alveo culturale in cui è cresciuto/a), per la quale ciò che Gesù starebbe proponendo è una rinuncia a qualcosa di piacevole nell’aldiqua (solitamente identificato con la sfera della sessualità), per ottenere benefici nell’aldilà.
E così, gli anziani si chiedono, in maniera più o meno angosciosa, se nella loro vita presente o passata abbiano rinunciato troppo poco o abbastanza per “superare” il giudizio finale e i/le giovani si girano dall’altra parte, pensando che siano tutte cavolate (l’inferno, il peccato, l’aldilà) e che nessuno può pretendere di dire loro cosa sia giusto fare o non fare (soprattutto in un ambito così intimo, come quello sessuale).
Le parole di Gesù creerebbero insomma o ansia o stizza.
Triste fine per chi si proponeva di portare una “buona notizia”…
Potrebbe essere, invece, utile a entrambi provare a ritradurre quelle parole, ripulendole da errate pre-comprensioni e distorsioni.
Ciò che Gesù sta dicendo, infatti, è che ci sono gesti, parole, modi di essere che ostacolano la costruzione di una vita bella, profonda, spessa (una vita di cui essere felici). Sono gesti, parole, situazioni che, letteralmente, ci fanno inciampare, non ci dilatano interiormente, ma ci restringono gli orizzonti e ci rimpiccioliscono il cuore, che ci fanno respirare male e non permettono la circolazione di ciò che riempie la vita nei canaletti della nostra interiorità (e di certo il riferimento non è solo e nemmeno per lo più il sesso).
Ebbene, Gesù suggerisce di tagliare tutto ciò che ci rattrappisce, che ci incurva, che ci rinchiude, perché il rischio è di arrivare alla fine rattrappiti (non nel fisico, ma nel nostro intimo), incurvati, chiusi. La sua speranza è che ciascuno possa da bruco diventare farfalla: per se stesso (perché – senza togliere niente al bruco – la farfalla è più bella) e per rendere il mondo più bello (perché – sempre senza togliere niente ai bruchi – è più bello un prato pieno di farfalle).
Credo che questa potrebbe essere davvero una buona notizia per i vecchietti e per i giovanotti.
E ovviamente per le vecchiette e le giovanotte.