La prima parte del vangelo di questa domenica è collegata con la prima lettura e affronta la questione del come porsi di fronte a coloro che, pur non essendo del “nostro giro”, agiscono secondo Dio.
Sia la reazione di Giosuè («Mosè, mio signore, impediscili!»), sia quella dei discepoli («Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva») va nella direzione dell’esclusione.
«Gesù conosceva bene questo vecchio dramma del sistema immunitario socio-religioso, che cova sotto la pelle di ogni organismo vivo, e poi scatta al momento del pericolo… pronto a tutto – anche all’omicidio, simbolico (o reale!). Gesù ne era stato scottato amaramente. I suoi stessi parenti – la sua tribù di sangue – appena s’era permesso di criticare il suo gruppo sociale…, erano venuti a prenderlo, perché dicevano: “È diventato matto!” (Mc 3,21). Ma in seguito era arrivato il peggio, quando i suoi compaesani “pieni di sdegno, si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio” (Lc 4, 29). Eppure proprio là, a Nazareth, era cresciuto, bimbo e ragazzo, aveva lavorato, lo conoscevano tutti…
Adesso lo stesso perverso meccanismo spuntava tra i suoi discepoli, che stava educando con tutte le sue cure: un uomo si era messo a scacciare i demoni nel nome di Gesù… e ci riusciva, anche se era un “discepolo” anarchico, ma convinto che la sua forza, che vinceva il male, fosse non sua, ma “del nome di Gesù”! Ma non era del gruppo (chiesa) dei discepoli. Giovanni, il figlio del tuono, dal cuore ancora piccolo, a nome di tutti, vuole bloccarlo. Non ha diritto di far il bene, senza autorizzazione, anche se la gente guariva davvero» [Giuliano Bettati].
Si tratta della classica dinamica istituzione-profezia, o appartenenza-libertà, che si scatena spesso all’interno dei gruppi.
La posizione di Gesù è chiara: se anche qualcuno/a non ha la “tessera del partito”, ciò a cui guardare è il suo agire: se promuove la diffusione del Regno (la passione per l’umano) o se gli mette i bastoni fra le ruote («chi non è contro di noi è per noi»).
La chiusura in circuiti elitari, in cerchie di puri, non è la logica del vangelo che, anzi, favorisce sempre l’immischiarsi con chi – pur non essendo esattamente come noi – opera tuttavia nella stessa direzione.
Questa questione diventa l’occasione per proseguire il discorso, rivolgendo lo sguardo non più ad extra ma ad intra, nell’interiorità di ciascuno: «Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nelle Geenna».
Anche noi – con la “tessera” – possiamo mettere in atto gesti, parole, modi di essere che ostacolano la costruzione del Regno, la costruzione di un mondo più umano; gesti, parole e modi di essere che – magari inconsapevolmente – ci condannano a buttare la nostra vita, come fosse un rifiuto da portare in discarica (la Geenna era proprio la discarica). Sono gesti, parole, situazioni che, letteralmente, ci fanno inciampare, non ci dilatano interiormente, ma ci restringono gli orizzonti e ci rimpiccioliscono il cuore, che ci fanno respirare male e non permettono la circolazione di ciò che riempie la vita nei canaletti della nostra intimità.
Ebbene, Gesù suggerisce di tagliare tutto ciò che ci rattrappisce, che ci incurva, che ci rinchiude, perché il rischio è di arrivare alla fine rattrappiti (non nel fisico, ma nel nostro intimo), incurvati, chiusi.
Non si tratta, dunque, di un invito a rinunciare, sacrificare, mortificare… tutto al contrario: si tratta di un invito a recidere le cinghie che non ci permettono di librarci in volo e di volare…
…anche con chi – magari in maniera poco ortodossa – ha trovato una via diversa per spiegare le ali.