Il vangelo di questa domenica contiene la mia parabola preferita: quella del «padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna».
La storia – che all’inizio sembra la descrizione di un qualsiasi giorno lavorativo nella Palestina di Duemila anni fa – diventa ad un certo punto incredibile.
Inizialmente, infatti, abbiamo questo padrone che va in cerca di lavoratori e – trovatili – si accorda con loro sulla paga: «Un denaro al giorno».
Il padrone, tuttavia, continua a uscire per cercare altri lavoratori: alle nove, a mezzogiorno, verso le tre e verso le cinque.
Quindi, in tutto, esce cinque volte.
Con questi altri gruppi di lavoratori non stipula un accordo sulla paga: ai secondi dice semplicemente «quello che è giusto ve lo darò», agli altri non dice nulla.
Fin qui niente di strano, se non, forse, questo continuo uscire, addirittura ancora alle cinque del pomeriggio, sapendo che la giornata di lavoro finiva alle sei…
Si potrebbe, comunque, semplicemente pensare che aveva così tanto lavoro che anche l’opera di un’ora soltanto di un gruppo di lavoratori gli poteva servire.
Il vero momento di svolta arriva quando si tratta di pagare gli operai.
La prima stranezza è che – a differenza di quanto suggerirebbe il buon senso – il padrone inizia a pagare prima gli ultimi. Noi avremmo probabilmente fatto il contrario, pensando che chi era lì dall’alba aveva il diritto a tornare a casa prima di chi era lì solo da un’ora.
Il padrone, invece, inizia dagli ultimi.
Come si capisce proseguendo nella lettura, questa scelta narrativa è necessaria per il buon funzionamento del “marchingegno” della parabola: serve, infatti, che i primi vedano quanto sono pagati gli ultimi.
Se fossero stati pagati nell’ordine di arrivo, i primi avrebbero preso la paga e se ne sarebbero andati, senza vedere quanto avrebbero ricevuto gli altri.
Così, invece, essi vedono che gli ultimi ricevono un denaro. Esattamente quanto era stato pattuito con loro per una giornata di lavoro.
Non subito, però, capiscono le intenzioni del padrone. Infatti si aspettano di ricevere più degli altri: «Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro».
E qui si scatena la reazione: «Nel ritirarlo mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”».
Istintivamente, ci verrebbe da dare loro ragione: non è giusto che chi ha lavorato una sola ora e chi ha lavorato un’intera giornata riceva la stessa paga.
Il padrone, però, presenta il suo punto di vista: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».
Sentita la risposta del padrone, il nostro istintivo schierarci con gli operai della prima ora vacilla…
Questo padrone non ha agito ingiustamente, ha rispettato i patti.
Semplicemente ha deciso di non retribuire in base al merito.
Ecco perché questa è la mia parabola preferita, perché mette in discussione un criterio oggi molto in voga: il merito.
Gesù, con la storia degli operai nella vigna, vuole far capire qualcosa su Dio: Dio non usa il criterio del merito, ma quello dell’elargizione liberale del suo amore. L’amore – sembra suggerire Gesù – non si merita…
Questo tratto del volto di Dio dovrebbe darci da pensare, soprattutto per chi – tra noi – è cresciuto sentendosi dire che “bisogna acquistare meriti presso Dio”. No! Con Dio si vive una relazione d’amore, non una raccolta punti.