Questa parabola è inserita subito dopo quelle che abbiamo letto settimana scorsa.
Anch’essa, come spesso accade, presenta una situazione anomala, che spiazza gli ascoltatori.
Noi questa sensazione di spiazzamento a volte non la proviamo nelle parabole di Gesù, o perché le abbiamo sentite troppe volte (e quindi, come per le barzellette che abbiamo già udito raccontare in più occasioni, il finale non ci sorprende più) o perché nel frattempo la sensibilità e la cultura sono cambiate e perciò certe prese di posizione di Gesù ci sembrano ovvie.
Faccio un esempio: sentendo la parabola della pecorella smarrita che abbiamo letto settimana scorsa, nessuno di noi si stupisce più di tanto che il pastore vada a cercarla. Lo sappiamo fin da bambini… E così ci sfugge la portata delle parole di Gesù. Parole che invece facevano sobbalzare chi lo ascoltava per la prima volta, perché si trattava di gente che conosceva bene il mondo della pastorizia e immediatamente percepiva quanto è assurdo il comportamento di un pecoraio che lascia nel deserto 99 pecore per cercarne una. Ma era proprio quello sbigottimento che permetteva agli uditori di farsi delle domande e chiedersi che cosa volesse dire Gesù, raccontando quella storia. E così, pian piano, si faceva strada in loro l’idea che Egli non stesse parlando di pecore e pastori, ma di Dio, di un Dio anomalo, inaspettato, che non corrispondeva a quello che gli avevano sempre insegnato o che loro immaginavano. In questo modo Gesù faceva breccia nei cuori e nelle menti dei suoi interlocutori e riusciva a innestargli una nuova idea di Dio.
Per noi è diverso… Noi sappiamo che il pastore va a cercare la pecora e sappiamo che il pastore rappresenta Dio. E così non avvertiamo più il sussulto interiore che provavano loro e tutto ci scivola addosso, come se ci stessero raccontando per l’ennesima volta una pappardella trita e ritrita che non ha nulla da dire alla nostra fede e alla nostra vita.
La parabola di oggi invece è diversa. In qualche modo ha mantenuto intatto il suo “potere” di stupire, di mettere in scacco chi la legge: un po’ perché è poco conosciuta, un po’ perché la vicenda che prende come riferimento (i soldi, l’onestà, i rapporti di lavoro, la paura della disoccupazione…) non è lontana dal nostro sentire. Mentre la realtà della pastorizia oggi è per i più sconosciuta, le tematiche che tocca la storia che oggi sentiamo raccontare a Gesù ci sono invece più vicine. Possiamo dire che la nostra cultura e la nostra sensibilità su questi argomenti non sono poi così lontane da quelle delle persone di 2000 anni fa. Ecco perché è una storia ancora in grado di “funzionare” nello smuovere la nostra interiorità.
Anche noi infatti, come gli ascoltatori di allora, arriviamo alla fine della storia storditi. Gesù dice cose inaspettate, per niente ovvie, anzi, anche un po’ irritanti: com’è possibile che nella parabola un amministratore disonesto finisca per essere lodato?
La morale cattolica non insegna ad essere onesti? A biasimare chi non è leale?
Ma è proprio qui che Gesù vuole farci arrivare: ad essere straniti. Perché solo questo sentimento, può levarci di dosso quell’atteggiamento classico delle persone cresciute all’interno di una certa mentalità religiosa di sapere già tutto su Dio. Gesù vuole proprio farci arrivare a dire “Forse quello che mi sembrava ovvio, non è poi così scontato…”.
Lo stordimento di fronte alla parabola di Gesù deve diventare infatti l’occasione per domandarsi: Ma cosa voleva dire raccontando questa storia?
Voleva lodare la slealtà?
No, voleva aprire una riflessione sulla ricchezza, sui soldi, sui rapporti di subordinazione basati sul denaro. E cosa dice in proposito? Gesù chiama la ricchezza disonesta. Non c’è ricchezza giusta: fondare le relazioni tra le persone in base agli averi è un modo sbagliato di porsi nell’esistenza (in altri passi del vangelo, per esempio, si vede come per lui i rapporti si debbano basare su altri fondamenti, sulla cura, sul riconoscersi fratelli, sulla compassione…). La ricchezza è alternativa alla sua proposta di vita: «Non potete servire Dio e la ricchezza».
E però la ricchezza esiste, la divisione delle persone in base a quanto hanno in tasca e in banca (o nei paradisi fiscali) è una realtà umana… Dentro a questo quadro, allora, Gesù pone una seconda parola: che gli averi siano un mezzo per creare amicizia, comunione: «fatevi degli amici con la ricchezza disonesta».
Ma come? Gesù cede alla logica del mondo? No. Perché a ben guardare, col suo ragionamento, alla fine arriva non ad accettare la ricchezza come criterio della vita, ma la subordina all’amicizia, alla fraternità. La sub-ordina, cioè la mette sotto, la butta giù dal primo posto. C’è qualcosa di più importante degli averi che orienta la vita, ed è la relazione con gli altri esseri umani.
Letture:
Dal libro del profeta Amos (Am 8,4-7)
Il Signore mi disse: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1Tm 2,1-8)
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,1-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».