XXIX Domenica del tempo ordinario (commento)

Ogni persona – consapevolmente o inconsapevolmente – ha un suo orizzonte di senso, cioè un significato di fondo che dà alla vita, un ordine di priorità, alcuni criteri di base che orientano le scelte.

In questo brano di vangelo è possibile rintracciare qualche elemento dell’ordine simbolico di Gesù.

Dal suo punto di vista, l’esistenza non dovrebbe essere pensata nei termini del dominio, ma in quelli del servizio: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

Mentre, per i più (e anche per i suoi discepoli) il senso della vita è quello dell’imporsi sugli altri/e, fino ad arrivare a opprimerli/e, per lui l’esistenza andrebbe spesa nel mettersi a disposizione degli altri, delle altre.

Questo orizzonte ha diverse implicazioni.

Innanzitutto, il cambiamento dello sguardo sulle altre persone: non sono rivali, concorrenti, avversarie, nemiche, da temere, da cui guardarsi, da tenere a debita distanza… ma compagne, consimili, sodali, alleate, da comprendere, da tenersi vicine, di cui prendersi cura.

Questo atteggiamento che ci viene, a volte naturale, soprattutto con i membri della nostra famiglia e/o della nostra cerchia, con coloro verso cui nutriamo affinità elettive, viene meno con “gli altri”, “le altre”, quelli/e che – appunto – consideriamo “altri”, “altre”.

L’orizzonte di senso di Gesù, invece, presenta un mondo in cui la matrice naturale del mettersi a servizio di chi amiamo, diventi il paradigma per guardare chiunque, per estendere lo sguardo e la prassi di cura, di presa in carico, di condivisione del destino con chiunque ci capiti nella vita.

In secondo luogo, la proposta di Gesù implica una conversione riguardo a noi stessi/e.

Decentrarsi non è qualcosa di “naturale”, anzi, è un modo di essere e di agire che può arrivare solo da una scelta di fondo, che chiede esercizio, introspezione, revisione e che – proprio per questo – non è automatica, né facile.

Gesù è però convinto che sia il giusto sguardo per inserirsi nel mondo, per vivere una vita piena, per arrivare felici alla fine.

Infine, mi pare di intravvedere che questo percorso non può ingenerarsi senza una mutazione radicale della nostra concezione di Dio: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Finché avremo in testa il dio che prevale, che domina, che opprime non faremo che reiterare dinamiche di prevaricazione, dominio e oppressione. Se, invece, provassimo ad accedere al volto di Dio che Gesù ha rivelato – un Dio che si mette al servizio e che non chiede di essere riverito (e temuto, e incensato…) – ci scopriremmo oggetto di amore e – quindi – potremmo diventare soggetti di amore: da amati/e ad amanti.

La domanda che dovremmo farci è, dunque: qual è il mio orizzonte di senso? Quale la mia postura nei confronti degli altri, delle altre? Quale il ruolo in cui mi penso? Quale il tipo di relazione che ho col Signore?

E di conseguenza: quale significato profondo do alla vita? Quali priorità guidano il mio cammino? Quali criteri orientano le mie scelte?

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