Il vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica è il brano centrale di Marco.
È il testo che segna il passaggio tra il “primo tempo” della sua opera e il “secondo tempo”.
Viene, infatti, ripreso il primo dei due titoli che vengono dati a Gesù nell’incipit («Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio», Mc 1,1).
Il secondo (“Figlio di Dio”) verrà pronunciato alla fine del libro, dal centurione che – sotto alla croce – vede morire Gesù («Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!», Mc 15,39).
La ripresa di questi termini (“Cristo” a metà vangelo e “Figlio di Dio” alla fine) sono i segnali del cammino che chi legge è chiamato a percorrere.
Dopo i primi 8 capitoli – dopo la prima metà del vangelo – noi, come Pietro, possiamo affermare: «Tu sei il Cristo».
Abbiamo, infatti, visto Gesù attuare tutti gli elementi chiave della sua missione: rivelare il vero volto di Dio in parole e opere.
Eppure… siamo solo a metà strada.
Identificare in Gesù il Cristo, cioè il messia, l’unto (l’eletto) di Dio non è ancora averlo compreso nella totalità di ciò che egli è.
Proprio a questo punto, infatti, Gesù inizia ad annunciare che c’è dell’altro e che “quell’altro” sarà la croce: «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».
Qui nascono i problemi.
Se, finora, seguirlo (per i suoi discepoli e le sue discepole, ma anche per noi) è stato un percorso esaltante – Gesù annunciava un Dio di cui non avere paura ma che anzi ama in modo commovente, guariva le ferite umane, si scontrava senza riguardo contro tutte le teorie (soprattutto religiose) che opprimevano i/le più deboli, costruiva relazioni liberanti che riempivano di senso le esistenze, riportava la festa nei cuori in cui regnavano atmosfere di morte… – ora, seguirlo diventerà scarnificante: il suo modo di essere, il volto di Dio che mostrava, la nuova possibilità di stare al mondo che inaugurava verrà rifiutata e in maniera cruentissima, umiliante e dolorosa.
Proprio nel vangelo di oggi inizia questo “secondo tempo”, in cui «in Gesù, Dio si rivela facendo ciò che l’uomo non è capace di fare: accogliere il rifiuto e la sofferenza come presenza storica del Padre» [Giuliano Bettati].
La “croce” non è “qualsiasi cosa brutta ci capiti” – come spesso si usa intendere nel nostro gergo.
La croce è, precisamente, tutto ciò che capita di brutto proprio perché si crede nella proposta di Gesù: nel volto di Dio che lui rivela, nel ripensamento delle relazioni umane cui dà origine, nel primato dell’amore sull’egoismo.
La questione, allora, diventa scottante: a chi è stato così entusiasticamente suo/a seguace fino ad ora, verrà ancora voglia di andargli dietro?
La reazione immediata è negativa (Pietro rappresenta ciascuno di noi): «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo».
Il nostro istinto auto-conservativo si rifiuta di imbarcarsi su una nave di cui – il capitano – ci sta dicendo che affonderà.
Ecco allora che si apre la seconda parte del vangelo di Marco, nella quale ci viene proposta la continuazione del percorso (se vogliamo): cercare di capire perché, su quella nave vale comunque la pena di salire.