Il vangelo di questa domenica ci regala una delle pagine più belle del Nuovo Testamento.
Tre parabole che ci mostrano chi è Dio, secondo Gesù.
Il primo tratto del suo volto (che emerge nelle prime due parabole) è quello rivoluzionario di un Dio in cerca dell’uomo.
Noi siamo abituati a pensare di essere noi, in qualche modo a dover cercare Dio. Fin da piccoli ci hanno insegnato a cercare Dio, anzi, fin dalle sue origini, nella religiosità arcaica che l’umanità aveva quando ancora era poco più che una scimmia, l’uomo ha provato ad arrivare a Dio (o agli dei): con le sue preghiere, i suoi sacrifici, l’osservanza di regole, teorie di pensiero, meditazioni… Tutto per cercare Dio.
Ma quando Dio si mostra, in Gesù, cambia la prospettiva: non siete voi che dovete cercare me, sono Io che da sempre (e per sempre) sono alla ricerca di voi altri, persi per le vie del mondo. Sono io che come un pastore vengo a cercarvi. Come un pastore che pur avendo tantissime pecore non è che, quando ne perde una, dice “Chi se ne frega, tanto ne ho molte altre”. Ma come un pastore che, anche se ha tantissime pecore, è pronto a mollare il gregge per cercare quell’una che si è persa (chissà dove e chissà perché, non importa), perché ciascuna è importante, ciascuna è sua.
Se solo provassimo anche solo un pochino a credere a questo Dio, a sentirci, proprio noi, quell’una cercata e a provare, a nostra volta, a sentire nostra ciascuna pecora del gregge umano che incrocia la nostra storia…
Ma noi facciamo così fatica a metterci in questo orizzonte di senso. Ce lo spiega bene la terza parabola, quella del figliol prodigo o, come recentemente e più correttamente è stata ribattezzata, del padre misericordioso. Noi facciamo fatica a credere ad un Dio in cerca dell’uomo e continuiamo piuttosto a dare credito a quell’immagine distorta del suo volto che abbiamo stampata nel cuore, quella di un dio tiranno, opprimente, castrante, da cui prendere le distanze (come fa il figlio minore) o al quale obbedire per paura delle ritorsioni (come fa il figlio maggiore).
Solo che – come ci insegna sempre la parabola – chi in qualche modo si ribella al volto del dio padrone poi è più facile che scopra il vero volto di Dio, perché può darsi che, nel mentre di una vita senza senso, dissoluta, di una vita brutta che non riempie il cuore, l’eco (o la nostalgia) di Qualcuno che lo cerca, che lo vuole, che lo fa sentire amato, lo raggiunga… Dio in cerca dell’uomo… e allora – mosso dalla disperazione, dalla fame, dalla convenienza – prova a tornare a rivolgersi a Lui e scopre che non è armato di fulmini, maledizioni e punizioni, ma di compassione, abbracci, baci, premure, fiducia… Scopre insomma di essersi ribellato a un padrone (all’idea che lui aveva in testa di dio) per incontrare finalmente un padre (il vero volto di Dio che Gesù ci fa conoscere).
Più duro invece il percorso di chi non trova il coraggio di ribellarsi all’idea del dio padrone che ha in testa e passa tutta la vita a cercare di onorarlo, riverirlo, servirlo.
Mentre l’esito della vicenda del fratello minore infatti nella parabola è chiaro, ha una conclusione inequivocabile (un gettarsi al collo, un essere rivestito dell’identità smarrita di figlio, una festa), l’esito della vicenda del fratello maggiore resta sospesa (non si sa – nella parabola – se entra anche lui in casa a far festa o se resta fuori, dopo le accorate parole del padre).
Il figlio più grande infatti fa più fatica a togliersi di dosso l’idea di dio che ha in testa, continua a pensarlo come un padrone e a pensarsi come un salariato. Cioè continua a pensare al suo rapporto con dio in termini commerciali: ti ho dato tot, dovevi darmi tot. E infatti la sua rivendicazione è proprio quella di aver ricevuto meno di quello che si è meritato («Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso»).
Impostare il rapporto con dio nei termini di merito e colpa è ciò che – secondo la parabola – ci impedisce di accedere al vero volto del Padre, il quale non ci chiede di “comprare” il suo amore coi meriti o di disprezzare chi ha delle colpe, ma ci invita ad una rivoluzione mentale (e di cuore), ad una rivoluzione teologica: Dio non è da cercare, da conquistare, da comprare; Dio è da incontrare, da accogliere, da abbracciare. È il Dio in cerca dell’uomo. È un Dio che cerca l’uomo per proporgli un intreccio di vite (la Sua con la nostra), per scrivere insieme la vita, una vita basata sull’amore. Una vita bella.
Letture:
Dal libro dell’Èsodo (Es 32,7-11.13-14)
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1Tm 1,12-17)
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».