Il vangelo di Marco ci racconta che Gesù, dopo lo scontro avuto sull’osservanza della Legge con i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme (brano di settimana scorsa), si reca fuori dalla Palestina, andando prima a Tiro e poi verso il mare di Galilea (che in realtà è un lago), in pieno territorio della Decàpoli, passando per Sidone.
Potremmo dire che attraversa da Nord-Ovest a Sud-Est la parte settentrionale della terra promessa, partendo e arrivando in due località straniere (Tiro – Decàpoli). In entrambe avviene un miracolo: a Tiro libera la figlioletta di una donna siro-fenicia da uno spirito impuro e nel territorio della Decàpoli guarisce un sordomuto.
La cosa più interessante di questi eventi, però, – a mio parere – non è la extra-ordinarietà dei gesti di Gesù, ma le parole che vengono pronunciate.
Nel primo episodio (che la liturgia non riporta) succede infatti che Gesù mostri inizialmente una certa reticenza a fare ciò che la donna gli chiede: «“Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia”. Ed egli le rispondeva: “Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”».
Gesù in qualche modo sta dicendo “Prima gli Ebrei”…
Eppure cambia idea. Una donna, una straniera, riesce a convertirlo, cioè a fargli cambiare mentalità: «“Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia”».
Lo straziato amore nei confronti della figlia permette a questa donna di non fermarsi di fronte alla resistenza di Gesù e di fargli notare che di bene se ne può trovare sempre almeno una briciola in più. E Gesù, che pareva seguire una linea retta, va come a sbattere di fronte a quello che questa donna gli mette davanti, e le dà ragione. Non è Gesù che fa cambiare idea a lei, ma lei che fa cambiare idea a lui. E non in maniera episodica, ma strutturale: Gesù romperà gli argini in cui la cultura del “Prima gli Ebrei” circoscriveva la sua missione per aprirsi all’universalità dell’amore, che è per tutti.
Infatti immediatamente dopo, Marco riporta il brano di un altro miracolo in terra straniera. Stavolta non ci sono obiezioni, infatti quando «gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano, lo prese in disparte» per guarirlo: «gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”».
Gesù, a cui la donna siro-fenicia aveva appena aperto gli orizzonti, a sua volta “apre” alla relazione il sordomuto.
Questo è forse uno dei gesti più evocativi tra quelli compiuti da Gesù: il miracolo che ciascuno di noi ha ricevuto e ha sempre un po’ bisogno di ri-ricevere… quello di slegare i nodi che ci impediscono di sentire e di parlare… quello di sciogliere quei magoni, risentimenti, rancori, tristezze che non fanno circolare le energie… quello di rompere quelle corazze, maschere e paure che non ci fanno aprire alla vita, alla fiducia, al volersi bene.
Io prego poco, lo ammetto, ma se dovessi pregare, pregherei per avere qualcuno che ogni tanto mi stura i canaletti dove circola l’amore e magari per imparare a riaprire quelli di qualcun altro, così come di incontrare persone per le quali in tasca mi è rimasta ancora una briciola di bene o che magari ne hanno in tasca una briciola per me.