Il vangelo di questa domenica – rispetto a quello della settimana scorsa – ci fa fare un salto in avanti nel libro di Matteo: dal capitolo 16 passiamo, infatti, al 18.
Siamo, cioè, nel bel mezzo del cosiddetto “discorso ecclesiale”.
Di cosa si tratta?
Come abbiamo già avuto modo di dire, l’evangelista Matteo organizza il materiale che ha a disposizione, strutturando il suo vangelo intorno a 5 grandi discorsi di Gesù: il primo – e più noto – è il discorso della montagna, il secondo è quello missionario, il terzo è quello parabolico, il quinto è quello escatologico.
Il quarto è quello che ci interessa oggi. È il discorso sulla Chiesa e occupa l’intero capitolo 18, da cui è tratto il brano di vangelo odierno.
I versetti 15-20 si occupano, in particolare, di due questioni: 1) come comportarsi con un membro del gruppo dei discepoli e delle discepole che commette una colpa contro di noi; 2) la preghiera di due o tre riuniti nel nome di Gesù.
Le due questioni, a livello narrativo, sono legate dal riferimento – presente in entrambe – al rapporto terra-cielo: «Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo», «se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà».
Il collegamento tra la terra e il cielo non è certo una novità in ambito religioso: anzi, la “pretesa” religiosa (di qualunque religione) è precisamente quella di mettere in collegamento il terrestre con il divino.
Ma la domanda vera è: quale legame (tra terra e cielo) traspare da questi testi evangelici?
«Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» rimanda a un rapporto così stretto, che sembra addirittura “automatico”.
Allo stesso modo, «se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» implica una relazione terra-cielo addirittura vincolante per Dio.
Cosa vogliono, dunque, dire queste espressioni linguistiche?
È chiaro che nella mentalità comune è ciò che “si decide in cielo” che ha delle ricadute sulla terra, mentre qui pare essere affermato il contrario: quello che viene deciso / chiesto nell’aldiquà viene “ratificato” nell’aldilà.
Questa centralità dell’aldiquà nella predicazione di Gesù, questa stretta connessione tra terra e cielo, questi “cieli aperti”, sono uno degli elementi centrali della sua novità.
E sono un invito a non svalutare la vita nell’aldiquà in nome di una presunta maggior importanza della vita nell’aldilà. Anzi, la messa in evidenza della loro quasi “automatica” connessione, rende la vita nell’aldiquà (il chi decidiamo di essere nell’aldiquà) decisiva per la vita nell’aldilà (il chi saremo nell’aldilà).
La qualità delle nostre relazioni, il modo in cui fronteggiamo il male, l’accordo con gli altri / le altre sul cosa chiedere a Dio dovrebbero essere la cartina di tornasole della qualità della nostra vita evangelica.
Sarebbe bello fare un bell’esame di coscienza (vecchio stile) abbandonando però i criteri moralistici di una volta, per chiedersi come sono le nostre relazioni con gli altri / le altre, come reagiamo (immediatamente e sul lungo periodo) al male subito, con chi saremmo così intimi da trovare qualcosa per cui rivolgerci insieme a Dio.
Potrebbe essere un primo passo per tornare alla serietà della proposta di Gesù.