XXII Domenica del tempo ordinario (commento)

Riprendiamo quest’oggi la lettura del vangelo di Marco.

I farisei pongono a Gesù una domanda che ha un chiaro tono di biasimo: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

Per comprendere bene la portata del brano odierno è importante avere presente la prima lettura, di cui riporto anche i versetti che la liturgia omette: «I vostri occhi videro ciò che il Signore fece a Baal-Peor: come il Signore, tuo Dio, abbia sterminato in mezzo a te quanti avevano seguito Baal-Peor; ma voi che vi manteneste fedeli al Signore, vostro Dio, siete oggi tutti in vita» (Dt 4,3-4).

L’invito è quello di adempiere norme: un invito che, tuttavia, è figlio di uno “sterminio”.

Si tratta, pertanto, di una saggezza e un’intelligenza che si nutrono di obbedienza. Basta non aggiungere e non togliere nulla.

La religione vive di questo: la assoluta prevalenza della Legge e del Culto.

I farisei che rimproverano Gesù sono in perfetta sintonia con questa mentalità.

E il cuore?

Gesù, nel vangelo, scardina il meccanismo religioso, difendendo il gesto dei suoi discepoli di non rispettare regole che con il suo annuncio non hanno nulla a che fare.

Sposta la questione: da regole religiose, rispetto formale ed esteriore, timore di contaminarsi (tipici paradigmi religiosi, appunto) all’invito (tratto da Isaia 29,13) ad “avere il cuore vicino a Dio” (non un “imparaticcio di precetti umani”).

La religione è fatta di regole date dagli uomini, e guai ad aggiungere o togliere qualcosa.

Il vangelo, al contrario, propone di avere “un cuore vicino a Dio”.

Dovemmo domandarci in cosa consiste, per ciascuna/o di noi, questo “cuore vicino a Dio” che Gesù propone.

Innanzitutto, è la liberazione dalle regole religiose (Bonhoeffer parlava di “cristianesimo non religioso”). Si tratta di una questione sempre delicata, perché siamo reticenti a guardare in modo critico ciò che ci è stato insegnato da bambini/e e perché la paura che Dio si possa arrabbiare rispunta sempre nei nostri cuori mai evangelizzati fino in fondo. La paura di Dio è, infatti, ciò da cui Gesù è venuto primariamente a salvarci.

Eppure, forse sarebbe ora di guardare con uno sguardo maturo alle nostre “tradizioni umane”.

Poi, questo cuore vicino a Dio è la passione per l’umano, per la fragilità dell’essere umano che ogni giorno si incontra. Non a caso la seconda lettura termina con «visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze», topos biblico per riferirsi a quello sguardo di com-passione verso noi stessi/e, gli altri/e, il mondo intorno a noi.

La ripresa dell’anno sociale, con i propositi da cui è sempre accompagnata, può essere l’occasione per reimpostare la propria vita di fede non più sull’osservanza delle norme, ma sulla vicinanza del cuore.

Buon ricominciamento a tutti/e.

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