“Cristo” è la traduzione greca della parola “messia”, che significa “unto”, cioè “scelto”, “eletto”. L’unzione del capo con l’olio era infatti il gesto con cui nell’antico Israele venivano designati i re.
Gesù è unto (scelto, eletto) per svolgere una missione, quella di far conoscere Dio agli uomini. Non una conoscenza intellettualistica o dottrinale, ma una conoscenza fattiva, un mostrare chi è Dio, un farlo vedere “in azione”, attraverso “l’azione” della sua vita.
Dentro questo agire si iscrive anche la scelta di Gesù di consegnare agli umani «le chiavi del regno dei cieli». Le chiavi sono una via d’accesso: agli umani dunque è data la via d’accesso al regno dei cieli. Il “Regno” nella predicazione di Gesù non coincide col paradiso, ma con una realtà da costruire in terra: si tratta di un modo di stare al mondo fondato sull’amore, sul prendersi cura, sul far star meglio, sulla compagnia, sulla compassione.
Gesù – nel suo agire da unto – consegna all’umanità le chiavi – la via d’accesso – del Regno, di quel mondo fondato sul volersi bene che lui (con il Padre) ha sognato.
Nei vari episodi narrati dei vangeli – di volta in volta, passo dopo passo – si declinano vari aspetti del Regno: a volte viene messa in opera la compassione, altre la compagnia, altre il prendersi cura e il far star meglio… Nel brano di oggi il profilo da cui si guarda al Regno è quello del “legare e sciogliere”: «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Per chi come me ha avuto una formazione cattolica standard, leggere queste parole evoca immediatamente alcune tematiche: il matrimonio, la confessione…
Ma – dato che ai tempi di Gesù non esistevano né il matrimonio cattolico né la confessione auricolare – mi viene da pensare che l’immediato riferimento che ci viene da fare a quelle realtà, sia frutto del fatto che, per spiegare quelle prassi sacramentali, i teologi abbiano fatto più volte riferimento a questo versetto.
Per questo ci viene da associarlo ad esse, mentre nella collocazione evangelica nulla fa intuire che il riferimento di Gesù fosse quello.
Tra l’altro questa interpretazione delle sue parole si porta dietro un’annosa ambiguità: ciò che non è sciolto spesso è identificato con ciò che non è perdonato (per cui il senso riduttivo del versetto sarebbe: ciò che non è assolto dalla Chiesa, resta non perdonato da Dio); ciò che è legato spesso è identificato col matrimonio indissolubile (per cui chi si sposa in Chiesa e poi si separa e/o divorzia e costruisce una nuova relazione, davanti a Dio, sarà sempre legato alla persona spostata in chiesa).
L’ambiguità di questa visione sta nel fatto che Gesù, l’unto per portare il vangelo, la buona notizia, qui si trasforma in annunciatore di disgrazie, di pessime notizie, quasi di velate minacce.
Per questo, vorrei dilatare il significato delle sue parole, evitando di lasciarle negli orizzonti ristretti in cui 2000 anni di storia li hanno cacciati e – per non dire distorti – per lo meno ridotti.
Proviamo pertanto a dare respiro alle parole, a fare entrare aria, allargare gli orizzonti e a dargli l’intonazione della buona notizia: quali sono le cose belle della vita che è importante “legare” a sé? Quali persone, quali esperienze, quali parole, quali gesti, quali ricordi? E cosa è importante – per avere una vita bella – “sciogliere”? Quali nodi, quali traumi, quali dolori?
Ecco, io credo che il testo di oggi, ci dica che Gesù Cristo, l’unto del Padre, scelto per farci conoscere com’è fatto il cuore di Dio e il suo sogno di un mondo (un Regno) fondato sull’amore, inviti gli umani (e soprattutto coloro che appartengono alla Chiesa, cioè alla comunità che si fonda sul vangelo) a legare a sé persone, esperienze, parole, gesti, ricordi… e a sciogliere nodi, traumi, dolori (partendo da se stessi) per costruire una vita più bella, un mondo più bello per tutti.