Il vangelo di questa domenica si apre con una reazione forte da parte dei discepoli di Gesù («Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?») e ci pone di fronte a una questione seria: seguire Gesù non è una cosa semplice. Ha una sua durezza intrinseca, come tutte le cose serie e coinvolgenti della vita.
Gesù infatti ha appena finito di fare un discorso in cui ha chiarito che credere in lui è qualcosa di più radicale che ascoltare e farsi affascinare da un oratore o far parte di un gruppo di amici o di persone con un interesse comune… è qualcosa di diverso anche rispetto al ricevere rispostine consolanti sul da farsi o non da farsi nella vita, su cosa sia giusto e cosa no, su quale sia la “soluzione magica” ai nostri problemi.
Credere in lui è piuttosto vivere un rapporto così intenso con la sua persona da essere identificato con l’azione del mangiare: credere in lui vuol dire mangiarlo, cioè creare una relazione così intima da averlo in noi, intrecciato a noi nella composizione di ciò che siamo.
Prima del riferimento eucaristico (o forse proprio a dare senso al gesto eucaristico), l’autodefinirsi di Gesù come «pane», «pane della vita», «pane disceso dal cielo», «carne», «carne da mangiare», «sangue», «sangue da bere» indica la possibilità dell’instaurazione di un rapporto così coinvolgente, da risultare strutturale (strutturante), una relazione in cui ci si impregna reciprocamente l’un l’altro, in cui le fibre si costruiscono insieme, finendo per legare i destini.
Non è una cosa così strana: è quello che ci capita con le relazioni più importanti della nostra vita, più coinvolgenti, implicanti, leganti. Quello con i genitori, i figli, gli amati, alcuni amici, i compagni.
È proprio l’intensità e l’implicazione reciproca di questi rapporti che fa risultare così doloroso e struggente la loro rottura (che sia per via della morte o di altre cause).
Così come è la loro intensità e implicazione che crea ferite terribili, quando questi rapporti non sono sani.
Le parole di Gesù risultano dunque dure, perché ciò che propone non è qualcosa di esteriore al nostro io più profondo, ma qualcosa che lo va ad interpellare e chiamare in causa continuamente, come le storie più importanti della nostra vita, con lo scopo però di proporre un rapporto sano, vitale, che allarga l’anima, che fa respirare meglio, che dilata gli spazi interiori…
Si propone infatti come pane di vita.
A ciascuno la decisione di come porsi di fronte a questa proposta, senza però barare (soprattutto quando ne parliamo agli altri, soprattutto se sono giovani o giovanissimi): è una cosa seria.