[Scusate per settimana scorsa – ero via]
Il vangelo di questa domenica è uno di quelli che a me piace di più. Forse vi sembrerà strano, perché Gesù, almeno nella prima parte dell’episodio, risulta un po’ estraneo al nostro modo di concepirlo: non rivolge nemmeno una parola a una persona che gli chiede aiuto, che tra l’altro è una donna (quindi appartenente a una categoria solitamente da lui privilegiata) e che, per di più, non chiede qualcosa per sé, ma per la figlia… Un Gesù un po’ anomalo rispetto a quello che siamo abituati a incontrare in tante altre pagine evangeliche.
Perché allora mi piace?
Beh, certamente per la seconda parte della vicenda, perché Gesù cambia idea, cosa impensabile per chi ha una certa concezione del suo essere Figlio di Dio (quasi che il suo essersi fatto uomo fosse quasi una finta), ma straordinaria invece, dal mio punto di vista, perché mostra quanto il suo coinvolgimento nella storia (e nella storia delle persone) fosse profondo.
Quindi, certamente mi piace perché è un testo che restituisce una corretta visione della piena umanità di Gesù, ma poi anche perché – da vero rompitore seriale degli schemi culturali in cui l’uomo si rinchiude qual è – accetta di cambiare idea con un’interlocutrice femmina. Non cambia idea mentre discute con i dottori della legge, i sacerdoti, gli anziani, gli scribi, i farisei, i sadducei (l’intellighenzia teologica di allora) e nemmeno mentre dibatte con Pilato, Erode, i soldati o qualche altro rappresentate del potere politico. Non cambia idea nemmeno mentre dialoga con i suoi amici maschi, i suoi discepoli, i suoi apostoli.
Invece lo fa con una donna, per di più straniera (non ebrea), cioè con la persona socialmente più lontana dall’idea di “interlocutore accreditato” che si potesse avere allora, tra l’altro facendole una dichiarazione che deve aver disturbato più di un orecchio: «Donna, grande è la tua fede!».
Per capire la portata di quel che accade in questa situazione, bisognerebbe pensare a chi è oggi, nel pensiero comune, un/una rappresentante delle persone più screditate socialmente e immaginare che Gesù gli si rivolga dicendo: “Grande è la tua fede!”.
È ovvio che chi ritiene Gesù un eretico (ricordo che Gesù morirà da scomunicato) o un ciarlatano, troverà in questo episodio un’ulteriore conferma del suo pensiero, ma chi invece lo ritiene un punto di riferimento? Anzi, il punto di riferimento? Cosa penserà di Gesù?
Per rispondere, fatelo davvero il gioco di immaginazione, perché siamo tutti figli del pensiero comune e tutti abbiamo in mente una categoria di persone che – anche senza volerlo – consideriamo socialmente “meno persone” delle altre. Proprio a quello/a lì Gesù dice: “Grande è la tua fede!”.
Ma c’è anche un altro motivo per cui a me questo vangelo piace moltissimo e si trova proprio nella prima parte, in quella in cui Gesù ci pare così scostante.
Siamo sicuri che lo sia? O forse è solo il nostro modo di intendere le parole che ce lo fa risultare tale? Faccio solo un’ipotesi di una possibile altra lettura: e se l’atteggiamento indifferente, da finto sordo, addirittura insensibile alle implorazioni dei suoi discepoli e finanche escludente nella risposta che dà loro («Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele»), invece che frutto dell’adesione alla mentalità nazionalista del suo popolo (e alla conseguente fede nel fatto che Dio fosse il Dio di Israele e non il Dio di tutti gli umani), fosse frutto del normalissimo percorso che investe ogni essere umano quando gli sopraggiunge qualcosa che, per la prima volta, interpella in modo nuovo la sua coscienza?
Cosa facciamo tutti, quando ci capita qualcosa del genere? Ci sentiamo spiazzati, non sappiamo cosa dire (dobbiamo pensarci, perché non ci abbiamo mai pensato prima), quindi stiamo in silenzio, magari ci prende anche un po’ di ansia perché ci è chiesta una presa di posizione più rapida del tempo che vorremmo dedicare al pensarci. Cerchiamo perciò di prendere tempo, diamo la prima risposta che ci viene in mente, di solito una risposta coerente con la nostra cultura di provenienza.
È esattamente quello che fa Gesù (che poi – prendendosi il tempo del dialogo – cambia idea).
Ma pensare che Gesù abbia vissuto qualcosa di questo tipo ci sembra strano, fin blasfemo. Perché?
Quando prima ho scritto della piena umanità di Gesù e del suo profondo coinvolgimento nella storia, nessuno ha sussultato.
Non è che alla fine anche noi siamo un po’ dell’idea che il suo essere Figlio di Dio implichi che il suo essersi fatto uomo fosse un po’ una finta?