Il vangelo di questa domenica è composto da tre parabole: quella della zizzania, quella del granellino di senapa e quella del lievito.
I racconti sono di immediata comprensione e non necessitano di particolari spiegazioni. In più, il primo, quello narrativamente più articolato, ha già all’interno del testo la sua spiegazione.
Tutti e tre hanno come tema il Regno: vogliono cioè essere dei paragoni per far comprendere cosa sia il Regno di cui parla Gesù.
Per capire però il senso di queste storie – e dunque conoscere qualcosa in più sul Regno – è utile chiedersi quali siano le domande che le hanno originate: a noi che siamo sempre in cerca di risposte, oggi è chiesto di cercare domande.
La parabola della zizzania parte dalla constatazione che nel campo, oltre al grano, c’è la zizzania (cioè che oltre al bene / ai buoni / al me stesso buono, c’è anche il male / i cattivi / il me stesso cattivo). Da questa constatazione sorge la domanda più antica del mondo: Perché nel mondo c’è il male? Con il suo corollario: Se Dio è buono, da dove viene il male? E perché – nonostante l’avvento del suo Regno – c’è ancora la zizzania? Infine: Che fare di questa zizzania?
La parabola del granellino di senapa risponde invece alla domanda: Perché se Gesù ha inaugurato il Regno di Dio, esso non si vede? Anzi pare avere la piccolezza di un granellino in confronto alla grandezza del mondo?
Con la parabola del lievito che le fa eco: Perché guardando il mondo (la pasta), il Regno non si vede?
Non affrettiamoci subito a dare le risposte, a voler dimostrare a noi stessi che le conosciamo, che siamo “bravi cristiani”: la velocità e l’orgoglio con cui risolviamo le questioni servono solo a rassicurare noi stessi, ma non ci fanno fare quel passo in profondità che la lettura di questi testi ci chiede oggi. Chissà quante volte li abbiamo già letti o già sentiti, ma il senso di rileggerli (l’intenzione della Chiesa di farci continuamente tornare a rimeditare la Parola) non è quella di dire affrettatamente “questo lo so già”, ma di andare – ogni volta – un po’ più nel profondo.
Dunque, soffermiamoci sulle domande. A ben guardare, non sono così diverse da quelle che ci poniamo anche noi oggi: Perché nel mondo c’è il male? Se Dio è buono, da dove viene il male? E perché – nonostante Gesù sia venuto – il male è rimasto? Che fare con questo male? Perché se Gesù ha inaugurato il Regno di Dio, esso non si vede? Anzi sembra vedersi sempre meno?
Sono le domande che si ponevano i discepoli di Gesù già al suo tempo. Sono le domande che ci poniamo ancora noi dopo 2000 anni. Perché? Perché sono le domande di chi guarda il mondo (quello grande della popolazione umana, ma anche quello piccolo della nostra vita, il nostro piccolo mondo di relazioni e vicende quotidiane, o ancora più in miniatura, il mondo interiore che ciascuno di noi si porta dentro). Guardando il mondo – qualsiasi mondo – ecco il grano e la zizzania. Ed ecco le solite domande. Ed ecco soprattutto il rischio di scoraggiarsi, di arrendersi di fronte ad uno scenario che non cambia mai, che si ripropone ad ogni generazione.
Le domande che originano la parabola testimoniano la sfiducia dei discepoli, l’insinuarsi del dubbio: “Ne vale veramente la pena?”. Vale veramente la pena di provare a costruire il Regno di Dio su questa terra (cioè di amare ogni essere umano come fosse figlio di Dio, dunque mio fratello), se tanto la zizzania rimane, se tanto quello che si riesce a fare è solo un granellino (una goccia nell’oceano), se tanto quell’amore pare amalgamarsi e omologarsi con la pasta?
Questa è la questione in gioco. Ed è a questa domanda a cui ognuno deve dare risposta: Ne vale la pena?