XV domenica del tempo ordinario

Il maestro della Legge rivolge a Gesù la domanda per antonomasia: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?».

Non si tratta di un interrogativo meramente utilitaristico (come se gli avesse chiesto: “Dammi la ricetta per andare in paradiso, così faccio quel che c’è da fare e sono apposto”); nasconde infatti una chiara valenza esistenziale: tutti noi ci poniamo la domanda sul senso della vita, su come si faccia ad arrivare alla fine soddisfatti dell’esistenza vissuta, sul cosa fare per vivere bene, per non fallire l’esistenza. È lo stesso problema che aveva quel maestro della Legge 2000 anni fa e che ha qualsiasi persona su questa terra.

È interessante capire perciò cosa ne pensi Gesù.

Egli inizialmente non risponde, ma – come è nel suo stile – fa una contro domanda: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». E quello: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Risposta perfetta, risposta di scuola, formulata citando la Sacra Scrittura.

E infatti Gesù acconsente: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma il problema, come sempre, è che sulle parole bisogna intendersi. Perché sulle formule generiche siamo tutti d’accordo, ma è quando poi si va nel concreto della vita che le questioni non sono più così chiare e iniziano i distinguo. E il maestro della Legge lo sa. Sa benissimo che la formula da lui usata e che Gesù ha appena approvato, sarebbe sottoscritta anche dagli oppositori di Gesù.

Per questo insiste: «E chi è mio prossimo?».

Qui infatti si gioca la differenza di prospettive tra Gesù e l’élite religiosa cui il maestro della Legge appartiene: il prossimo è solo un maschio adulto non indigente e senza malattie invalidanti (visto che le donne e i bambini non erano considerate pienamente persone e i mendicanti e i malati dei peccatori da emarginare – posizioni che Gesù ha mostrato di avversare col suo comportamento)?; il

prossimo è solo ebreo: gli altri, o si convertono, o sono solo goyim, stranieri?; o, perlomeno, il prossimo è prima l’ebreo? E l’amore al prossimo in che rapporto sta con l’amore a Dio e il culto che gli è dovuto? Quale legge “vale” di più? I precetti minuziosi con cui i rabbini normavano la vita degli ebrei o la legge dell’umana compassione: «Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?», attaccano i farisei in Marco 2,24; «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» gli risponde Gesù in Marco 2,27.

Il problema sta tutto qui: sulle grandi formule, tutti d’accordo; ma sulla declinazione quotidiana e reale di esse, le posizioni sono lontanissime, se non addirittura antitetiche.

Gesù, però, a questo punto, non si sottrae e decide – come sempre – di fronteggiare la situazione: alla domanda «E chi è mio prossimo?» (specificazione della domanda «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»), Gesù risponde raccontando la parabola del buon samaritano, nella quale, di fronte alla situazione di «un uomo [che] scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto», due rappresentanti dell’élite religiosa di cui il suo interlocutore fa parte (un sacerdote e un levita) fanno una pessima figura («un sacerdote […] quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre»).

La bella figura la fa invece un samaritano, uno cioè considerato un ebreo eretico, uno non proprio “puro sangue”, perché i samaritani si erano mescolati con altri popoli (con gli stranieri!) e quindi venivano disprezzati. Gesù, nella sua parabola, cioè nella storia che ha inventato, sceglie di far fare la bella figura proprio a un samaritano… è un po’ “monello” Gesù a fare così, perché la provocazione che lancia è proprio forte: è come andare da un interista e raccontargli una storia in cui due interisti fanno brutta figura e uno del milan eccelle (“La parabola del buon milanista”)… Insomma… non si fa…

Gesù invece lo fa! Perché vuole rompere quel meccanismo dell’élite religiosa ebraica che mette dei confini alla legge dell’umana compassione.

La risposta definitiva alla questione «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (cioè alla domanda “Qual è il segreto per una vita sensata?”) – precisata con l’interrogativo «E chi è mio prossimo?» – è infatti la compassione, l’empatia, la benevolenza, il prendersi cura, il farsi carico dell’umano. «“Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”». Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”».

A chiunque cerca il senso della vita, Gesù risponde: «Va’ e anche tu fa’ così», fatti prossimo.

Letture:

Dal libro del Deuteronòmio (Dt 30,10-14)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi (Col 1,15-20)

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,25-37)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

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