Passato il tempo pasquale e le festività delle ultime domeniche, questa settimana riprendiamo la lettura della vita di Gesù.
Lo ritroviamo nel momento in cui, dopo aver iniziato la sua missione in Galilea (nord della Palestina), decide di dirigersi verso Gerusalemme, in Giudea (sud della Palestina).
Tra le due regioni vi è la Samaria. Ed è proprio qui che vediamo Gesù con il suo gruppo di discepoli e discepole: «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso».
Gli abitanti di questo territorio non godevano della stima degli altri Ebrei (e in particolare dei Giudei), anzi, erano considerati eretici, perché nel corso dei secoli si erano uniti ad altre popolazioni, contraendo con loro matrimoni e adottando alcune loro usanze e credenze.
I Samaritani, per esempio, non riconoscevano il Tempio di Gerusalemme come luogo sacro dell’Ebraismo e celebravano i loro sacrifici sul monte Garizim.
Ecco il motivo per cui «non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme».
Gesù viene dunque rifiutato.
Ma, più di questa cosa in sé, ciò che l’evangelista Luca sottolinea è la diversa reazione tra lui e i suoi discepoli: «Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio».
Di fronte al rifiuto, Giacomo e Giovanni “vogliono fargliela pagare”… con la violenza.
Ritengono che il loro maestro abbia subito un’offesa, una mancanza di riguardo e di ospitalità e si ergono a difensori del suo onore.
Quante dinamiche criminali si basano su questa modalità di ragionamento.
Quanti atti di violenza / femminicidio partono dai medesimi presupposti.
Ma anche quante piccole nostre reazioni quotidiane…
Tutti e tutte a sentirsi vittime di lesa maestà e, dunque, a sentirsi autorizzati a “farla pagare” con la violenza, anche solo verbale.
Gesù invece non ragiona così, anzi rimprovera chi segue questa logica.
Lui semplicemente si mette in cammino verso un altrove.
«Mentre camminavano per la strada» incontrano tre persone, una dopo l’altra, e con ciascuna Gesù ha un breve dialogo sulla sequela (cioè sul seguirlo per diventare un discepolo).
È evidente che l’episodio è stato costruito dall’evangelista per raccogliere vari detti di Gesù sull’argomento.
Il primo fa riferimento a Gesù stesso: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Gesù si preoccupa di dire a chi lo vuol seguire che la sua non è una strada che porta successo, agio, stabilità. Chi va dietro a lui deve sapere che lo aspettano sconfitte, fatiche e precarietà.
Il secondo e il terzo scambio, invece, parlano di cosa implichi scegliere di seguire Gesù: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio»; «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». Seguire Gesù può voler dire dover mettere in discussione le proprie tradizioni (anche quelle più sacre) e addirittura i proprio legami famigliari (a volte anche quelli più intimi).
Perché farlo allora?
Cosa hanno visto in lui le persone che lungo i secoli si sono fatte affascinare dalla sua vita?
Sono domande importanti, decisive, per chi è alla ricerca di qualcuno da seguire, di qualcosa per cui valga la pena vivere e addirittura morire.
Ma sono domande importanti anche per chi ha già fatto le scelte fondamentali della vita e si trova a fare il bilancio delle sue decisioni.
Soprattutto sono questioni centrali per chi, come tanti di noi, si è ritrovato cristiano/a per cultura e non scelta: il fatto di essere nati/e in un contesto cristiano ha favorito la nostra sequela o è stato un paravento per non deciderci mai davvero per lui?