Il brano di vangelo di questa domenica – a mio giudizio – è uno dei più bei testi del Nuovo Testamento.
Dal punto di vista narrativo, è costruito come un intreccio di tre storie: quella di Gesù, quella della famiglia di Giairo e quella della donna con le perdite di sangue.
Ma non basta dire questo, perché i personaggi coinvolti in questa vicenda hanno alcune caratterizzazioni che li connotano come rappresentanti di mondi assai differenti.
Innanzitutto Giairo: è uno dei capi della sinagoga. Siamo, dunque, di fronte a un uomo che ha un ruolo importante all’interno della società di allora. Appartiene al mondo del potere religioso (anche se si tratta, in questo caso, di un potere locale); appartiene, cioè, a quel mondo che fin da subito era entrato in polemica con Gesù e i suoi modi di fare.
In questa vicenda, tuttavia, egli è mosso dalla disperazione per la figlia che sta morendo. Questo vince ogni resistenza rispetto alla figura di Gesù, al quale si rivolge perché possa salvare la ragazzina.
Mentre Gesù si sta recando con lui a casa, entra in scena l’altro personaggio: una donna che da dodici anni (esattamente gli stessi anni della figlia di Giairo) ha perdite di sangue. Lei appartiene al mondo opposto rispetto a quello del capo della sinagoga. Innanzitutto perché è donna e – in secondo luogo – perché la sua malattia la rende impura. Sta, dunque, esattamente all’estremo opposto rispetto a Giairo.
Eppure la figura di Gesù diventa il punto di incontro.
Entrambi vedono in lui una possibilità di salvezza.
Che la situazione della donna sia particolare, lo si evince anche da quanto succede dopo che ella ha toccato le vesti di Gesù. Facendo quel gesto, infatti, lei sa di commettere una grave infrazione al codice di purità ebraico, che prescriveva quanto segue: «La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle mestruazioni, o che lo abbia più del normale, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni» (Lv 15, 25).
Toccando Gesù, la donna lo rende impuro. Ecco perché, quand’egli si volta e chiede «Chi ha toccato le mie vesti?», lei è impaurita. Teme una reazione di duro biasimo da parte di Gesù: «La donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità».
Perché tutta questa paura? Noi che conosciamo Gesù non ci stupiamo più di tanto della sua reazione accogliente («Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male»), lei invece è terrorizzata. Probabilmente perché fino a quel momento, ha sempre e solo ricevuto reazioni sprezzati ed emarginalizzanti da parte delle figure religiose del suo paese (magari dallo stesso Giairo).
Io credo che al di là del primo significato del testo (Gesù opera beneficando), che è quello riferibile a ogni gesto di liberazione dal male che attua Gesù, il brano riveli almeno un secondo significato, e cioè la distruzione dell’immaginario religioso basato sulla dicotomia puro-impuro.
Gesù, qui come in diverse parti del vangelo, distrugge la religione come luogo della distinzione tra persone che vanno bene e persone che non vanno bene: l’impuro Gesù ridà vita alla figlia del capo della sinagoga.
La religione di Giairo è mortifera («Tua figlia è morta»), la proposta di Gesù è vivificante («disse di darle da mangiare»).