Il vangelo di questa settimana ci pone di fronte ad alcune frasi paradossali di Gesù, che di primo acchito possono disturbare la nostra sensibilità.
Rileggerle all’interno del contesto sociale di allora e del contesto letterario in cui Matteo le ha redatte può forse aiutarci a comprendere quale fosse l’intenzione di Gesù nel pronunciarle. Analizzeremo le prime tre.
1- «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me». Questa prima frase immediatamente risuona come un pugno nello stomaco (e in effetti ciò che un detto paradossale vuole creare è proprio un sussulto che porti a chiedersi “Ma cosa sta dicendo costui?”). Sembra infatti che Gesù ponga in una graduatoria i nostri affetti, quelli più cari, e li subordini all’amore nei suoi confronti.
Ricordando però che siamo nel momento in cui Gesù sta parlando con i suoi apostoli per mandarli ad annunciare che Dio ama tutti e che la società di allora era basata su una struttura tribale, familista questa lettura è fuorviante e un po’ troppo legata al nostro modo occidental-contemporaneo di intendere il legame tra genitori e figli.
Qui Gesù non sta dicendo che chi vuole più bene alla sua mamma o ai suoi figli invece che a lui non è più suo amico (il che lo porterebbe ad assomigliare ad un bimbo egocentrico e capriccioso), ma che la scelta di essere suo discepolo è qualcosa di strutturale, che modifica l’ordinamento interiore delle persone. Diventare suoi discepoli non è qualcosa di aggiuntivo rispetto a ciò che già siamo, ma è qualcosa che determina il chi siamo. Proprio come le scelte e le attività strutturali della nostra vita (il lavoro che facciamo, le persone con cui viviamo, le convinzioni che abbiamo). E proprio perché è una “scelta strutturale” può andare a scontrarsi con le altre “strutture” della nostra vita: è ciò che è successo a Zaccheo, per esempio, il quale si è trovato a decidere tra le modalità del suo lavoro (il pubblicano) e l’essere discepolo di Gesù.
Ecco, pare dire Gesù, questo può capitare anche nei legami più stretti, in famiglia, con i genitori, con i figli: che fare per esempio se tuo padre o tuo figlio è tra quelli che vogliono lapidare un’adultera, mentre Gesù dice «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra»? Stare dalla parte di tuo padre/figlio o da quella dell’adultera/Gesù?
2- «Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me». La “propria croce” non è – come purtroppo abitualmente si intende – qualsiasi sofferenza ci capiti, quasi che Gesù voglia invitare ad una rassegnazione di fronte al male che ci viene inflitto. La “propria croce” è – come per Gesù – il male che viene come conseguenza dell’essere suoi discepoli, le persecuzioni che fanno seguito all’annuncio che “Dio ama tutti”. Gesù allora vuole ribadire che l’essere discepolo è una scelta strutturale, che ha delle conseguenze, delle quali bisogna assumersi il peso: non si può andare ad annunciare che “Dio ama tutti” e poi essere conniventi con chi – in nome di Dio o pensando di avere il suo benestare – umilia, disprezza e fa violenza su certe categorie di persone.
3- «Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà». Questa è forse una delle frasi più paradossali (insieme alla prima) perché ribalta i termini stessi dell’istinto di sopravvivenza: com’è possibile che perdendo la vita la si trovi e tenendola per sé la si perda? Eppure, ciò che Gesù dice e che pare contro natura (contro il naturale istinto di sopravvivenza) non è così estraneo alla natura stessa, tanto che il medesimo concetto, nel vangelo di Giovanni, è espresso proprio con un’immagine tratta dalla natura: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). È l’istinto per la sopravvivenza della specie, che prevale sull’istinto di sopravvivenza dell’individuo. C’è un bene più grande della vita del singolo. C’è un bene per cui vale la pena che venga spesa (e addirittura sacrificata) la vita del singolo. Questo pare dire Gesù. Essere suoi discepoli, essere annunciatori del Dio che ama tutti è qualcosa per cui valga la pena spendere e anche perdere la vita. È una lezione imparata anche fuori dalla cerchia dei discepoli, da tutti quegli uomini e quelle donne che hanno dato la vita (in certi caso trovando anche la morte) per la giustizia, per i diritti, per la lotta alla mafia, per ogni ideale che rendesse l’umanità più umana.
Sarebbe bello se tornassimo anche noi ad avere presenti questi detti paradossali.