Il brano di vangelo di questa domenica raccoglie alcuni detti sapienziali di Gesù, collocandoli nel più ampio “discorso della pianura” del capitolo 6 del vangelo di Luca (versetti 20-49): quello che stiamo leggendo in queste settimane.
Potremmo suddividere le affermazioni di Gesù in tre nuclei:
1- Il primo è quello composto dalla domanda retorica: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?», dove la metafora della cecità è usata per proporre una riflessione sul rapporto discepolo/maestro (ripreso dal detto immediatamente successivo: «Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro»).
Chi deve/può guidare qualcun altro? Chi può essere “maestro” di qualcun altro?
Certo non un cieco (ovviamente non inteso in senso fisico, ma metaforico: cioè chi non ha visto, chi non sa, chi non conosce).
Gesù propone se stesso come maestro (come colui che ha visto, sa e conosce) e allo stesso tempo mette in guardia da coloro che si ritengono maestri, ma in realtà sono ciechi (non hanno visto, non sanno e non conoscono… e possono condurci solo a finire in un fosso).
Eppure la prospettiva di Gesù non è quella di chi si erge a unico possibile maestro.
Certo, «un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro»: Gesù sta cioè dicendo che per il discepolo è possibile diventare come il maestro (cioè come lui). La via è essere “ben preparato” o – come suggeriscono altre traduzioni – “ben formato”, “perfezionato”.
Ai discepoli (anche dei nostri giorni) che discutono su chi tra loro sia il più grande (cosa che si fa oggi come ieri, un po’ meno sfacciatamente, ma forse, proprio per questo, più subdolamente) Gesù dice: «Un discepolo non è più del maestro».
Ma ai discepoli (anche dei nostri giorni) che si pongono eternamente in una posizione di fanciullezza e minorità (non assumendosi mai le responsabilità dell’adultità e nascondendo pigrizia e codardia dietro un’aurea di umiltà) Gesù dice: «Ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro».
Questo è un grande atto di fiducia di Gesù nei suoi discepoli (li ritiene capaci di essere come lui!) e insieme uno sprone a darsi da fare, a crescere, a prepararsi, formarsi, perfezionarsi… non solo intellettualmente (anche!), ma anche (e soprattutto) umanamente.
2- Il secondo nucleo tematico dei detti di Gesù è quello della pagliuzza e della trave: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Il detto della pagliuzza e della trave è diventato famoso, proverbiale. Spesso però è usato in maniera difensiva, che in forma dialettale potrebbe suonare più o meno così: “Cosa vuoi da me? Guardati te!”.
In realtà Gesù aveva proposto questa riflessione non perché fosse usata in maniera difensiva da chi si sentiva giudicato da un’altra persona, ma perché ciascuno di noi guardasse a se stesso.
L’invito qui non è tanto a non giudicare o a non intervenire nelle vite altrui (infatti alla fine viene detto «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello», quindi la possibilità di “togliere la pagliuzza” dall’occhio altrui non è eliminata); l’invito è piuttosto a essere onesti con se stessi, a sapersi guardare dentro e a riconoscere che anche noi abbiamo bisogno di essere amati nelle nostre fragilità. Così forse guarderemo con occhi diversi alle fragilità degli altri.
3- Infine, vi è il nucleo tematico dei frutti che corrispondono alla bontà o meno dell’albero (cuore): «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Tra ciò che si è e ciò che si fa c’è una circolarità: se si è buoni si fanno cose buone, ma è anche vero che facendo cose buone si diventa buoni.
Le parole di Gesù di oggi sembrano insistere più sul prendersi cura del proprio “cuore”, della propria interiorità, del proprio “essere”, perché sia buono…
L’invito è dunque quello a interrogarci su come gestiamo “la manutenzione del nostro cuore”.
Buona riflessione a tutte e a tutti.