VIII Domenica del tempo ordinario (commento)

Il brano di vangelo di questa domenica mi pare un invito a fare una delle cose che ci viene più difficile fare: guardarci, leggerci in maniera veritiera, avere uno sguardo “puro” su noi stessi.

Questo invito non va inteso come un’indicazione morale o come un buon consiglio del vangelo: il vangelo, infatti, non è né un insieme di norme morali, né un libro di consigli su come vivere la vita.

Il vangelo è l’attestazione (cioè l’aver messo in forma testuale) la rivelazione del volto di Dio, del volto dell’essere umano e della loro possibile relazione.

È, dunque, imprescindibile per chi voglia approfondire la propria relazione con Dio, sapere chi egli sia e chi siamo noi.

Certo, il disvelamento dell’identità profonda di ciascuno/a avverrà strada facendo, come nelle relazioni umane e, tuttavia, è importante trovare momenti per guardarsi in verità e dire chi siamo oggi.

L’invito di Gesù a non illuderci circa la nostra realtà più intima è reso con alcune immagini molto efficaci: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?»; che pianta sei?; che frutti produci?; cosa viene fuori dal tuo cuore?; cosa dicono di te le tue parole?

La prima reazione di fronte a queste domande, potrebbe essere quella di rispondere di getto, facendo magari una lista delle “travi” che sono nei nostri occhi (che tendenzialmente noi ridimensioniamo a pagliuzze) e dei “frutti” che la nostra vita ha prodotto e produce.

Una sorta di elenco di difetti e pregi che riconosciamo alla nostra persona.

Non che questo non serva, ma mi pare un modo di affrontare la questione a un livello elementare.

Ritengo che si possa fare qualche passo di profondità ulteriore.

Innanzitutto, la “trave”.

Non mi pare si tratti tanto di trovare i nostri difetti o i nostri peccati ricorrenti o quel super peccato che ho commesso nel mio passato.

Mi sembra che si tratti piuttosto di chiedersi se quando guardiamo (e ci guardiamo) non ci sia qualcosa che ci impedisce di vedere: la domanda è forse più legata all’origine dell’attuale visione che abbiamo delle cose, della vita, di noi stessi.

Spesso abbiamo sguardi disillusi, arrabbiati, intimiditi, paurosi, ingenui, … ognuno/a ha una caratterizzazione sua personale del modo in cui guarda. E quel modo è figlio della nostra storia, dei nostri traumi, delle nostre ferite, delle nostre precomprensioni, dello strutturarsi delle nostre esperienze in una certa visione del mondo.

L’invito di Gesù, allora, potrebbe essere inteso come una rivisitazione della genesi del nostro sguardo e spesso – ma questo è quello che ci spaventa di più – serve qualcun altro / qualcun’altra che ci accompagna in questo percorso, perché noi non possiamo che guardare al nostro sguardo, solo col nostro sguardo.

Allo stesso modo, il dire che “pianta” sono e che “frutti” produco, così come cosa esce dal mio cuore e cosa dicono le mie parole di me stessa, non può ridursi a una mera autoanalisi (con esame di coscienza annesso) sulle parole o i toni brutti che ogni tanto mi scappano, sui risultati delle mie scelte e azioni, sull’identificazione totalizzante di me stessa con un solo aspetto della mia persona.

Ciò che dice chi sono non è mai un “prodotto” ma è sempre un “processo”, una storia.

La risposta alla domanda “Chi sono?” non può essere banale, esaurita in un amen; chiede tempo, riflessione, introspezione, lacrime, complessità…

Così come la risposta alla domanda “Chi sei tu?”, “Chi sei tu per me?”…

A volte ho la sensazione che la velocità del nostro tempo, ci abbia fatto perdere la dimestichezza e la consapevolezza dell’importanza dello stare sulle domande.

Il vangelo di oggi, mi pare un’indicazione molto forte del fatto che – chi vuole coinvolgere la sua storia con quella del Signore – non può esimersi dal cercare la via d’accesso al proprio sé.

Perché è lì, nella profondità di noi stessi/e, che avviene l’incontro con Dio.

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