VIII domenica del tempo

Continua la lettura che stiamo facendo del capitolo 6 di Luca: dopo le beatitudini e i “guai” e dopo il discorso di settimana scorsa sull’amore ai nemici, Gesù prosegue con una parabola e alcune frasi di stampo sapienziale che servono a fissare i concetti.

Prima di analizzarle, voglio solo ricordare che l’ambito in cui Gesù dice queste cose, è un discorso sull’aldiqua, su come costruire una vita bella nell’aldiqua, su come abitare questo mondo e renderlo un regno di Dio, cioè un posto più felice, per tutti.

Ecco, in questa prospettiva Gesù si concentra soprattutto su due aspetti: 1) la consapevolezza di se stessi; 2) la relazione tra il cuore (l’interiorità) e le azioni (l’esteriorità).

Parto da questo secondo punto, perché mi pare più immediato.

«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Non c’è bisogno di tante spiegazioni: ciò che Gesù sta dicendo è piuttosto evidente e in qualche modo queste considerazioni fanno parte della saggezza di ogni popolo.

Metto in luce solo un aspetto: mentre gli alberi sono “buoni” o “cattivi” per natura (un rovo è un rovo e non potrà mai essere altro che un rovo), gli uomini no. Gli uomini sono sempre frutto di una storia, di un percorso, di scelte (personali o altrui), che rendono la bontà e la cattiveria meno nette che in una pianta, meno assolutizzabili, meno definitive e, soprattutto, meno ascrivibili alla sola colpa di qualcuno. Ciò vuol dire che una medesima persona, a differenza di un albero, può dare frutti buoni e frutti cattivi. Nessuno dà solo frutti buoni o solo frutti cattivi.

Ciò su cui Gesù vuole che la gente rifletta non è perciò che esistano uomini buoni e uomini cattivi, ma cosa è che mi fa dare frutti buoni. Il punto cioè non è guardarsi intorno e dire “Quello ha fatto così, ha dato un frutto cattivo, perciò è un uomo cattivo; quello invece guarda quante cose belle che fa, sarà sicuramente un uomo buono”. Il punto è chiedersi (rispetto a se stessi e non agli altri): come sono quando produco buoni frutti? Cioè: come è disposto il mio cuore in quelle circostanze?

Così che io possa pian piano orientare il mio modo di essere a dare frutti buoni, cioè ad essere buono.

Che il lavoro vada fatto essenzialmente su se stessi, lo rivela anche il primo aspetto che Gesù sottolinea nel brano di vangelo di questa domenica: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Anche questo insegnamento di Gesù fa parte della saggezza popolare che noi stessi abbiamo respirato fin da piccoli.

Eppure…

Sebbene si tratti di un’indicazione chiarissima (è infatti del tutto evidente come il mondo sarebbe un posto più bello per tutti se ciascuno prima di guardare la pagliuzza altrui togliesse la propria trave) resta la più disattesa.

Nella mia esperienza con le persone ho potuto constatare come la cosa più difficile sia accettare di dover fare un lavoro su di sé: la gente è disposta a sentirsi dare dai preti le peggiori penitenze, ad autoinfliggersi ferree discipline o a fare le più strane pazzie immaginabili, ma non chiedetegli di fare un lavoro su di sé, di affrontare le proprie ferite, il proprio passato, di mettere in discussione i propri schemi, i propri automatismi, le cose che gli hanno insegnato a 7 anni…

Vanno in tilt, si incavolano, ci rimangono male e, nella migliore delle ipotesi, smettono di confrontarsi con voi.

Eppure, è a noi stessi che il Signore invita a guardare, prima di andare a guardare gli altri: a noi stessi!

Anche perché la chiesa, purtroppo, ha conosciuto fin troppe persone che hanno ritenuto di non dover lavorare su di sé e, per le loro irrisolutezze, hanno distrutto la vita degli altri.

Letture

Dal libro del Siracide (Sir 27,5-8)

Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.

I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo.

Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore.

Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.

Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 15,54-58)

Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Dal vangelo di Luca (Lc 6,39-45)

Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

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