La settimana scorsa abbiamo letto l’episodio in cui Gesù raccoglie intorno a sé i primi discepoli (Lc 5,1-11) sulle rive del lago di Gennèsaret.
Oggi lo ritroviamo con una «gran folla di discepoli» e «con i Dodici».
La liturgia ci fa fare, infatti, un salto di circa un capitolo e mezzo (dall’inizio del 5 a metà del 6), nel quale sono accaduti una serie di eventi che hanno trasformato la situazione in cui avevamo lasciato Gesù: già sapevamo che la sua fama si diffondeva, ma nei versetti omessi, si dice che «di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie» (Lc 5,15).
Questo perché Gesù continua con la sua opera di annuncio del regno, in opere e in parole: il capitolo 5 di Luca narra di numerose guarigioni (in particolare quella di un lebbroso e di un paralitico, quello che gli amici calano dal tetto), dell’insegnamento di Gesù e anche di una discussione sul digiuno. Inoltre, riferisce della chiamata di «un pubblicano di nome Levi».
Anche la prima parte del capitolo 6 – quella che anticipa il brano odierno – parla dell’insegnamento di Gesù, delle sue discussioni (stavolta con i farisei, sul sabato), di una guarigione (quella di un uomo con la mano paralizzata) e della scelta dei Dodici.
Ecco perché, rispetto ai primordi della sua vita pubblica (quella che si intravvedeva nei vangeli delle scorse settimane), la situazione è cambiata: la figura di Gesù ha consolidato i tratti caratterizzanti con cui aveva inaugurato la sua missione. Anche la comunità che lo segue ha una struttura più evidente.
È in questa nuova situazione che lo ritroviamo, mentre, sceso dal monte, si ferma con i Dodici «in un luogo pianeggiante», circondato da una «gran folla di discepoli» e da una «gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone».
La sua notorietà – come anticipato – è dunque molto cresciuta, tanto che vengono ad «ascoltarlo» e a «essere guariti» da nord a sud: dal litorale di Tiro e Sidone (dalla zona pagana sopra la Galilea) alla Giudea e Gerusalemme (la regione più a sud della Palestina, il centro religioso del popolo ebraico).
L’espressione sta a indicare che tutti i tipi di persone confluiscono verso Gesù: persone appartenenti al popolo ebraico e persone pagane; persone molto religiose e persone meno legate al Tempio; persone del nord e persone del sud.
Insomma, pare che tutto quel mondo confluisca da Lui.
Ebbene, in quella situazione, «alzàti gli occhi verso i suoi discepoli», Egli prende la parola per proclamare quattro beatitudini e quattro guai.
Beati sono i poveri, coloro che hanno fame, coloro che piangono e coloro che sono odiati, messi al bando, insultati e disprezzati come infami a causa del Figlio dell’uomo.
Nei guai, invece, sono i ricchi, i sazi, coloro che ridono e coloro di cui tutti dicono bene.
I primi tre gruppi di beati sono composti da persone che a vario titolo sono nella sofferenza.
Perché, dunque, sono considerati da Gesù beati?
Perché loro è il regno di Dio, perché saranno saziati e rideranno.
La prima motivazione è al presente, le altre due al futuro.
Viceversa coloro che sono nei guai sono persone che hanno già ricevuto la loro consolazione, che avranno fame, saranno nel dolore e piangeranno.
Il confluire verso Gesù sembra pertanto mosso da una mancanza. Chi entra in relazione con Lui sperimenta il regno di Dio.
Chi non manca di nulla, non ci va e perde l’occasione di sperimentare il regno di Dio. E si troverà nella mancanza dopo.
La quarta beatitudine fa, però, presente che chi sperimenta il regno sarà, sì, saziato e riderà, ma non raggiungerà un “tutto pieno”: andrà incontro a odio e disprezzo.
Ciò che Gesù propone non è, dunque, una magia che ci toglie dalla viscosità della storia: la sua proposta è piuttosto quella di pensarci come mancanti, di combattere l’illusione di bastare a noi stessi/e e di vivere la vita in relazione a Lui e agli altri / alle altre, consapevoli che il mostrare al mondo la sua precarietà, lo farà reagire con violenza.