«Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».
Queste parole di Gesù, poste nel vangelo di Giovanni alla vigilia del racconto della lavanda dei piedi, mi hanno fatto venire in mente un verso di una canzone di Vecchioni: «E invece viene un giorno nella vita, che scegli e, se non scegli, l’hai tradita».
Infatti il brano proposto per questa quinta domenica di quaresima, ci fa vedere il passo prima, l’attimo prima, della scelta, di quel momento da cui non si torna più indietro.
È come se Giovanni ci facesse soggiornare nel momento “decisivo”, nel momento “della decisione”, quando ancora tutto è aperto, quando ancora la strada – che pure sta per essere imboccata – non è ancora stata imboccata: siamo cioè in quell’istante che precede immediatamente il muovere un passo, il passo; quell’istante in cui ancora, ci si potrebbe sottrarre, si potrebbe fuggire, non scegliere.
Ma appunto «viene un giorno nella vita, che scegli e, se non scegli, l’hai tradita».
Come sappiamo, Gesù ha scelto, si è determinato, ha mosso quel passo (come dice l’evangelista Luca: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme», Lc 9,51), ma oggi non vorrei concentrarmi su cosa abbia implicato quella scelta, quello scegliere: sono le prossime settimane quelle in cui seguiremo Gesù mentre porta il peso delle sue scelte.
Oggi è il momento in cui fermarsi sull’atto del decidere. E restituire a Gesù la sua piena umanità, cioè riconoscergli che avrebbe potuto scegliere diversamente o non scegliere: fuggire, sottrarsi.
Io non condivido infatti quelle letture che mostrano un Gesù vittima degli eventi, travolto dai fatti, o quelle letture che mostrano un Gesù incastrato in un determinismo inevitabile, in una necessità che le cose andassero come sono andate e rispetto alle quali, egli non avrebbe potuto fare altrimenti.
No, Gesù ha avuto veramente la possibilità di scelta, Gesù avrebbe potuto fare diversamente, le cose sarebbero potute andare diversamente. Gesù avrebbe potuto fuggire, sottrarsi.
Ma appunto ciò avrebbe voluto dire “tradire”, tradire la sua vita, tradire se stesso, smentire ciò che era andato dicendo e facendo (cioè vivendo) fino a quel momento, smentire ciò in cui aveva sempre creduto, ciò che era stato.
Perché, cosa avrebbe voluto dire sottrarsi? Cosa avrebbe detto di lui la scelta di fuggire? La scelta di non scegliere?
Avrebbe voluto dire che non credeva fino in fondo a ciò che aveva annunciato, che non ci credeva al punto da sostenerlo a qualsiasi costo, che non era così convinto delle sue idee al punto da sostenerle fino alle estreme conseguenze.
Avrebbe voluto dire che le sue posizioni non erano così fondamentali, ma accessorie. Non si rischia la vita per le cose non fondamentali: si può discutere, anche litigare, ma non mettere in discussione le relazioni, o addirittura l’esistenza, per qualcosa di accessorio, di marginale, di secondario.
E invece Gesù ha scelto.
E ciò significa che ciò per cui si era battuto tutta la vita era qualcosa di decisivo, qualcosa in cui credeva radicalmente, qualcosa che determinava la sua identità, la sua vita, al punto che sottrarsi avrebbe voluto dire tradire se stesso, la sua vita, la sua identità, la sua verità: avrebbe voluto dire smentire il volto di Dio che aveva fatto conoscere, la fede in rinnovate relazioni umane, la predilezione per i poveretti della storia…
E così Gesù ha scelto.
Ed è questo – a mio parere – il più importante dei titoli di credibilità che egli possiede.