In questo brano del vangelo è narrato un episodio molto noto, quello della donna sorpresa in flagrante adulterio che viene condotta dagli scribi e dai farisei da Gesù per vedere cosa ha da dire al riguardo.
I punti di vista con cui il narratore avrebbe potuto descrivere la scena sono almeno tre: quello degli scribi e dei farisei, quello della donna, quello di Gesù.
Nel primo caso, l’incipit avrebbe potuto suonare così: “Vi ricordate di quella volta che abbiamo sorpreso quella donna in flagrante adulterio e l’abbiamo portata da Gesù?”.
Nel secondo: “Sai che una volta mi avevano sorpreso in flagrante adulterio, ma poi, quando mi hanno portata davanti a Gesù…”.
Nel terzo: “Mi ricordo di quella volta in cui mi portarono una donna, sorpresa in flagrante adulterio, per chiedermi se era giusto lapidarla…”.
L’evangelista sceglie però di non raccontare la vicenda da nessuno di questi punti di vista e preferisce lasciar parlare un narratore esterno.
Apparentemente quindi si pone come un osservatore neutro.
In realtà, il testo è scritto in modo tale che chi lo legge sia portato a “simpatizzare” per la donna e per Gesù, non per i farisei e gli scribi.
Tanto che spesso si tende ad attenuare la posizione della donna, ricordando la condizione femminile di allora e rammentando che “adultera” era considerata anche colei che aveva subito uno stupro (magari per mano di un soldato romano).
Tutto vero, tra l’altro.
Ma credo che questo “giustificazionismo” rischi di farci perdere la portata dell’evento lì narrato.
Il punto non è se la donna fosse una vittima piuttosto che una rea, se avesse delle attenuanti legate alla miserrima condizione sociale in cui viveva, ecc…
La questione non è nemmeno dibattere – usando categorie totalmente estranee al contesto – sul diritto alla libertà sessuale, ecc…
Lo schema della scena è quello “colpevolezza-punizione”.
Dentro a questo cliché letterario per il quale a una colpa corrisponde una punizione, nel nostro brano si inserisce un imprevisto, così che la struttura diventa: colpevolezza – intento punitivo – imprevisto – mancata punizione – perdono della colpevolezza.
Dove il fulcro è evidentemente l’imprevisto.
L’imprevisto è la parola di Gesù circa il meccanismo colpevolezza-punizione (meccanismo peraltro non solo abitudinario, ma sancito dalle Sacre Scritture: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?»): «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Con queste parole Gesù riannoda il legame tra la donna e tutti gli altri.
La sua colpa era diventata come una linea di demarcazione in un cortile: lei da una parte, tutti gli altri dall’altra (a dire: “Noi non siamo come lei”).
Gesù invece prende tutti e li mette dalla parte di campo della donna: “Siamo tutti come lei”.
E infatti – a partire dai più anziani – i presenti riconoscono questa comune appartenenza a una umanità che non è senza peccato.
[NB: non c’entra niente il peccato originale: questa frase vuol dire che ciascun essere umano, se si guarda con onestà, sa che anche lui/lei ha fatto del male nella vita]
Così alla fine sulla scena restano Gesù e la donna.
Possiamo solo immaginare come si senta lei, che fino a questo momento non aveva detto nulla, era stata solo trasportata dagli altri, dagli eventi e ora ha scampato la morte per la parola di un uomo in piazza.
E Gesù? Lo abbiamo visto deluso e avvilito, con la testa china e lo sguardo rivolto a terra, alla vista della folla che usa la vicenda dolorosa della colpevolezza di una donna per metterlo alla prova (avrà sentito un fremito al cuore più per come trattavano la donna o perché spettacolarizzavano la sua colpa per mettere alla prova lui?).
Lo abbiamo visto alzarsi in piedi e fronteggiare quegli uomini e il loro cliché sacralizzato.
E alla fine… lo possiamo immaginare con un sorriso quando, di nuovo chinato e con lo sguardo rivolto a terra, intuisce di aver fatto breccia nei cuori degli scribi e dei farisei.
Ora lui e la donna si parlano.
E lui, che sarebbe l’unico che “è senza peccato” e dunque, stando alla frase che ha pronunciato per salvarla, sarebbe l’unico che potrebbe condannarla, le dice: «Neanch’io ti condanno».
Tra le tante cose che questo brano rivela, mi pare che due saltino agli occhi con evidenza:
- nessun essere umano può condannare un altro essere umano;
- Dio, che potrebbe condannarci, non lo fa.