Anche il vangelo di questa domenica è tratto dal primo capitolo di Marco, all’interno del quale viene presentato un quadro generale dell’attività di Gesù.
Sono tre i tratti caratteristici della sua vita pubblica che oggi sono messi in luce: la capacità di liberare dal male (dalle malattie); il bisogno di vivere momenti di dialogo personale con Dio, suo Padre; il desiderio di non rimanere fisso in un solo posto (Cafàrnao).
Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta di quelle esperienze che noi comunemente chiamiamo “miracoli”.
Questo termine rischia, tuttavia, di portarci fuori strada, perché il significato che comunemente gli si dà non rispecchia l’esperienza vissuta da Gesù e dalle persone che lo incontravano.
Non voglio dire con questo che la parola “miracoli” sia sbagliata; intendo solo sottolineare che essa vada specificata meglio.
Nell’esperienza storica di Gesù, infatti, non si è trattato genericamente di fare azioni stupefacenti, che contraddicevano le regole della fisica, della chimica e della biologia.
Piuttosto l’esperienza che Gesù ha fatto e ha fatto fare è stata quella della “liberazione dal male”. Noi non sappiamo dire oggi in cosa siano consistiti questi suoi gesti, certo è, però, che possiamo capirne il significato, il legame che essi avevano con la sua missione, con il suo annuncio di una buona notizia: incontrare Dio vuol dire essere liberati dal male.
Gesù, cioè, attraverso le sue azioni, ci sta dicendo che Dio non è colui che infligge il male, come comunemente si pensava e come ancora noi oggi – magari inconsciamente – pensiamo (per esempio quando diciamo “Cosa avrò fatto di male per meritarmi questa malattia?”, sottintendendo “Perché Dio mi sta punendo con questo male? Perché mi sta infliggendo questo dolore?” e, dunque, identificando Dio come qualcuno che può fare tanto il bene quanto il male).
Gesù, al contrario, ci annuncia che il male non viene da Dio.
Tant’è vero che Gesù non ha mai usato questa sua capacità straordinaria “al rovescio”: nessun sano ha mai incontrato Gesù e se ne è andato via malato!
Ciò che i gesti di Gesù mettono in luce non è, quindi, tanto la potenza di Dio, ma la sua potenza benefica: la sua volontà di liberare dal male.
In secondo luogo, il brano di vangelo propone l’esigenza di Gesù di ritirarsi in luoghi isolati per pregare.
Anche questa esperienza è stata travisata lungo la storia e ridotta per lo più al dire preghiere, cioè ripetere formule.
Pregare per Gesù è stata un’altra cosa: nella sua esperienza si è trattato di un “tirarsi in disparte” dal coinvolgimento nelle vicende della vita, per “sintonizzarsi” con Dio, cioè per “accordarsi” con lui, dove “accordarsi” va preso nel senso etimologico di “allinearsi al suo cuore”, per poi tornare – “accordato” – alle vicende della vita.
Infine, il testo di questa domenica sottolinea l’urgenza di Gesù di non stare solo in un posto, ma di andare altrove per portare la sua buona notizia su Dio.
Lungo tutto il vangelo, infatti, Gesù è in continuo movimento. È un predicatore itinerante che sembra mosso dal desiderio di incontrare e parlare con più persone possibile.
Se il cristiano è colui che prova a vivere il vangelo, cioè a reinterpretare nell’oggi l’esperienza di Gesù, ad “avere i suoi stessi sentimenti” come direbbe san Paolo, non ci si può esimere dal chiedersi se nella nostra vita “passiamo beneficando”, cioè liberando dal male le persone, se preghiamo, cioè se “accordiamo il nostro cuore con quello del Signore” e se siamo aperti/e agli incontri con le persone, smuovendoci dalla nostra comfort zone.
1 commento
Grazie per questa interpretazione dei miracoli che attribuisce un valore simbolico ed esistenziale a quel gesto eclatante e lo libera dal solo potere ‘salvifico’ quasi ai limiti del ‘magico’