Il brano di vangelo che la Chiesa ci propone questa domenica è costituito da una raccolta di detti di Gesù originariamente indipendenti. L’evangelista Luca li ha uniti, orchestrandoli intorno ad una tematica comune, quella dell’incertezza sull’ora della venuta del Signore.
Per le prime comunità cristiane questa incertezza era relativa al ritorno del Signore, che si pensava fosse imminente: i primi cristiani credevano cioè che Gesù risorto sarebbe tornato di lì a poco e che la storia di questo mondo si sarebbe perciò presto conclusa. Da qui l’insistenza di alcuni passi del Nuovo Testamento sulla vigilanza, sulla perseveranza, per combattere quella perdita del fervore iniziale che, con l’andare degli anni, stava crescendo.
Gesù risorto però non tornò, né allora, né successivamente, tant’è che la Chiesa ancora oggi è in attesa della seconda venuta del Signore, quella di cui si parla ogni domenica nel Credo, quando si dice: «Il terzo giorno è risuscitato secondo le scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine».
Il significato delle parole evangeliche legate a questo ritorno del Signore, subirono pertanto, con l’andare del tempo, diverse interpretazioni: se Gesù risorto non tornerà a concludere la storia nell’arco del tempo della mia vita, resta però vero che quando io morirò, la storia per me finirà comunque, e perciò quanto lui diceva sulla vigilanza e sulla perseveranza resta valido anche per me.
Questo più o meno il ragionamento, che ha riattribuito significatività a questi testi.
Il punto è, infatti, il medesimo: noi non sappiamo quanto durerà la nostra esistenza e cosa ci riserverà il futuro.
Sorge, dunque, inevitabile la domanda: Come vivere il nostro tempo? Cosa farne, di questa vita? Chi provare a essere?
Gesù ribadisce quanto aveva già espresso in precedenza: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma».
“Un tesoro sicuro nei cieli” in opposizione all’accumulo dei beni sulla terra.
Ma in cosa consiste un tesoro sicuro nei cieli?
Cosa intendeva dire con questa espressione?
Può indirizzarci la parabola che racconta, dove gli ascoltatori (noi) veniamo associati a dei servi.
La parola ha assunto un’accezione negativa, ma, forse, può aiutare intenderla nel senso di “amministratori”.
L’invito di Gesù è quello di vivere su questa terra non sentendoci (e comportandoci) come padroni, ma come amministratori: la natura, i beni, le altre persone non sono nostre, ma appartengono tutte a una realtà che ci supera. Noi stessi non ci apparteniamo, tant’è che – appunto – non sappiamo quanto dureremo e che ne sarà di noi.
Questa strutturale mancanza di controllo – dice il Signore – può far sorgere ansie, cui si risponde col “volerla fare da padroni” o, meglio, illudendosi di farla da padroni. Ma può anche aprire a un modo nuovo di stare al mondo: affidando la propria vita a Qualcun/a altro/a, a qualun/a altro/a.
Laddove si potrebbe aprire lo spazio per la sopraffazione, si può intravvedere anche il varco per la fraternità. Questo, credo, sia “il tesoro sicuro nei cieli”: quella storia di relazioni che avremo costruito e che ci farà essere quelli che saremo il giorno della nostra morte.
È quel bene lì, circolato nella vita, il tesoro sicuro nei cieli.