Questa domenica, terminato il tempo di Pasqua che ci ha accompagnato per una cinquantina di giorni, ricomincia il tempo ordinario.
È un periodo del calendario liturgico che ci accompagnerà fino al prossimo Avvento e che è dedicato all’approfondimento della vita di Gesù – al di là dei cosiddetti “tempi forti” legati alla sua nascita e alla sua passione, morte e risurrezione.
Come di consueto, però, la prima domenica del tempo ordinario dopo Pentecoste è dedicata alla Trinità.
Il termine non è evangelico e anche la teologia che gli si è sviluppata intorno è ascrivibile alla riflessione dei secoli successivi all’evento Gesù.
La Trinità rimanda, tuttavia, a una realtà che i testi evangelici lasciano intravvedere.
Per esempio, nel brano di vangelo scelto per questa domenica, l’invito finale di Gesù è quello di andare e fare discepoli, battezzando – cioè immergendo le persone – «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Al di là delle disquisizioni teoriche, che spesso più che chiarire rischiano di confondere, ciò che emerge con evidenza è la “non monoliticità” del Dio rivelato da Gesù: un solo Dio – dice il dogma – ma in tre persone. Potremmo dire “una unità plurale”, “relazionale”, “dialogante”, la quale non si esaurisce ad intra ma “fuoriesce”, si rivela, si propone, coinvolge, contagia…
Dio non è monolitico, ma plurale.
E, in più, la sua pluralità non è un circuito chiuso, ma rivolto ad extra, a noi.
L’umanità è l’interlocutrice che Dio interpella.
L’iniziativa è sua: è Lui che per primo ci ha rivolto la parola.
A noi la scelta se ritenere degno di interesse questo rapporto che ci è proposto.
Su quali basi valutare?
Innanzitutto, per giudicare se si tratta di una “proposta interessante”, bisogna ascoltarla.
Ascoltarla vuol dire prendere in mano questa parola, che oggi si presenta a noi nella forma attestata della Bibbia, cioè in un testo che va letto, ma anche interpretato (magari facendosi aiutare da chi – di mestiere – studia proprio quel testo).
Solo dopo averne colto il senso e, dunque, solo dopo aver colto il contenuto della proposta relazionale che Dio ci rivolge, si può sbilanciarsi verso un accoglimento della proposta o un suo rifiuto.
Sapendo che non si tratta mai di scelte che si prendono una volta nella vita, perché come in ogni ateo/a abita un piccolo / una piccola credente, così in ogni credente abita un piccolo / una piccola ateo/a.
Ciò che mi pare importante è non mancare di ascoltare (leggere, studiare, approfondire, farsi domande): meglio un ateo / un’atea che si è spaccato/a la testa sul vangelo e alla fine si è sbilanciato/a verso la declinazione della proposta di Dio (magari perché non ritenuta affidabile / credibile), piuttosto che una persona credente che non conosce il Dio a cui dice di credere.
O almeno questo è il mio parere, con l’augurio che i mesi che ci aspettano da qui al prossimo Avvento siano mesi fecondi per la lettura, lo studio, l’approfondimento del testo biblico.