Amati perché cambiati o cambiati perché amati? (commento al vangelo della XXXI domenica del tempo ordinario)

Settimana scorsa, leggendo la parabola del pubblicano e del fariseo che pregano al tempio, abbiamo avuto modo di chiarire chi erano i pubblicani.

Oggi, ne incontriamo uno: Zaccheo.

La sua storia è molto nota e ha edificato generazioni e generazioni di cristiani, circa il pentimento e la necessità di “riparare” il danno inferto agli altri con la propria condotta.

Ciò che, però, più di ogni altra cosa mi pare interessante è cercare di capire cosa sia questa “conversione”, come si origini e cosa produca.

Infatti, lo schemino solitamente divulgato “peccato – pentimento – riparazione del danno – perdono” mi pare piuttosto riduttivo.

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XXXI Domenica del tempo ordinario (letture)

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,1-10)

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

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