Eccoci giunti alla Domenica delle Palme, in cui si legge la passione di Gesù. Il testo è molto lungo e ripercorrerlo nella sua interezza è impossibile nello spazio di un breve commento.
Mi vorrei soffermare solo su questo aspetto: molti personaggi entrano in scena, tutti, in qualche modo, promettenti, ma, uno dopo l’altro, essi cadono (non solo o non tanto moralmente, ma proprio dal punto di vista narrativo).
Il primo che compare è Giuda… il quale – forte delle sue ragioni – decide di vendere il suo maestro. Si presenta baldanzoso, sia dai sacerdoti che all’orto degli ulivi… ma la sua parabola rovina precipitosamente: «Vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “A noi che importa? Pensaci tu!”. Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi».
Il secondo è Pietro, che dopo aver proclamato solennemente «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò», dopo essere stato uno dei tre che Gesù si è tenuto vicino al Getzèmani ed essere stato l’unico ad avere il coraggio di seguirlo fino al cortile di Caifa, arriva a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». Anche per lui l’esito è una disfatta: «Uscito fuori, pianse amaramente».
Poi c’è Pilato che potrebbe salvare Gesù e che ha pure una moglie che gli indica la via («Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua»). Eppure anche lui cede, rilasciando Barabba.
C’è, infine, Simone di Cirene, l’unico che vorrebbe star fuori da quella vicenda, ma che, costretto da chi è più potente di lui, diventa il simbolo dell’umano, incapace di resistere all’ineluttabile.
Tutti, in qualche modo, partecipano di quella condanna ingiusta. Nessuno riesce a opporsi. Chi trascinato dalle sue ragioni, chi dalla paura, chi dell’opportunità politica, chi da un potere più forte di lui… tutti cadono – anche quelli che erano partiti con le migliori intenzioni.
Solo Gesù fa il percorso inverso: lui che inizialmente piange, che vorrebbe non dover sostenere quell’ora decisiva, alla fine è l’unico che sa fronteggiarla senza cedere alla meschinità, mantenendo fede alla sua dignità di essere umano.
Proprio per questo, chi lo vede morire, afferma: «Davvero costui era Figlio di Dio!».