XVII Domenica del tempo ordinario (commento)

Come anticipato la settimana scorsa, questa domenica la liturgia ci propone di seguire il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci secondo la versione dell’evangelista Giovanni.

L’evento è probabilmente uno dei più noti della vita di Gesù, anche perché è narrato (in alcuni casi più volte) in tutti i vangeli.

La versione di Giovanni, tuttavia,

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XVII Domenica del tempo ordinario (letture)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

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Pentecoste (letture)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

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VI Domenica di Pasqua (commento)

Oggi, come nelle due domeniche precedenti, la Chiesa ha scelto di farci leggere un testo tratto dal vangelo di Giovanni e – in particolare – dal vangelo di Giovanni che narra di quando Gesù è ancora in vita: il primo era al cap. 10, il buon pastore; il secondo era al cap. 15, la vite e i tralci; quello odierno è la continuazione di quest’ultimo (Gv 15,9-17).

Salta subito all’occhio infatti il richiamo al “rimanere”: come il tralcio porta molto frutto quando rimane nella vite, così Gesù invita a rimanere nel suo amore perché la nostra gioia sia piena.

Torna, quindi, la domanda della settimana scorsa: cosa vuol dire rimanere?

In particolare, oggi la domanda si specifica così: cosa vuol dire rimanere nell’amore di qualcuno/a?

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VI Domenica di Pasqua (letture)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,9-17)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

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V Domenica di Pasqua (commento)

Il vangelo di questa domenica – come quello della settimana scorsa – è tratto dal vangelo di Giovanni, in un momento in cui – stando alla narrazione – Gesù è ancora vivo.

Siamo, infatti, all’interno del lungo discorso che Giovanni fa pronunciare a Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,1-17,26), in particolare nei versetti 1-8 del capitolo 15.

Sorge, dunque, la medesima domanda: perché questo vangelo nel tempo di Pasqua?

Proviamo ad approfondire.

La metafora riportata è assai nota, si tratta dell’immagine della vite e dei tralci.

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V Domenica di Pasqua (letture)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

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IV Domenica di Pasqua (commento)

Il testo di vangelo che la Chiesa ci propone per questa quarta domenica di Pasqua non consiste in un ulteriore racconto di apparizione del risorto, ma è tratto dal capitolo 10 di Giovanni, quindi – nella narrazione – da un momento in cui Gesù è ancora in vita.

Eppure, il brano scelto è collocato in una domenica di Pasqua e – quindi – è ritenuto in grado di farci riflettere proprio sulla risurrezione.

Come è possibile?

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IV Domenica di Pasqua (letture)

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e dò la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo giudicare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io dò la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la dò da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

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II Domenica di Pasqua (commento)

Il vangelo di domenica è il primo – dopo Pasqua – in cui compare Gesù risorto.

La scorsa settimana, infatti, avevamo il testo in cui le discepole e i discepoli ritrovano il sepolcro aperto e vuoto.

Erano segni deboli della risurrezione, tanto che – in prima battuta – non erano stati interpretati come segni della risurrezione: anzi, le ipotesi circa la sparizione del corpo di Gesù si erano indirizzate verso il timore del furto del cadavere.

Rasserena la nostra fede, invece, ascoltare, oggi, che la convinzione che Gesù sia risorto ha delle fondamenta più solide: non si è trattato solo del ritrovamento del sepolcro aperto e vuoto, ma dell’incontro con il risorto stesso.

Tutti i vangeli (anche se quello di Marco solo con un’aggiunta successiva) riportano queste esperienze di apparizioni.

La domanda da porsi, tuttavia, è se – effettivamente – si tratti di segni forti.

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