I racconti delle apparizioni di Gesù risorto possono essere letti almeno in tre modi: o come resoconti storici di ciò che è accaduto, o come narrazioni teologiche scritte per far accedere chi non c’era all’esperienza della fede nel risorto, o con una prospettiva esistenziale che indaga cosa abbia voluto dire per i discepoli credere che Gesù fosse risorto.
Se li si intende come resoconti storici, non serve altro che leggerli nel loro svolgersi e, in questo caso, ripercorrere i fatti così come sono narrati: il viaggio verso Emmaus, l’avvicinarsi di Gesù in persona, il dialogo tra lui e i discepoli, il gesto di Gesù di fare come se dovesse andare oltre, la richiesta dei discepoli di restare, lo spezzare il pane, il riconoscimento, la sparizione, il ritorno a Gerusalemme…
Se li si interpreta come narrazioni teologiche, ciò che va ricercato sono quei passaggi che permettono il riconoscimento del risorto: le Scritture, la premura per lo straniero, lo spezzare il pane… da cui la Chiesa ha fondato i pilastri della sua identità: la Bibbia, la carità, il sacramento dell’eucaristia. I “mezzi” – anche per chi non c’era – per accedere alla relazione col risorto.
Una prospettiva esistenziale, che non esclude le altre, prova invece a guardare all’esperienza vissuta da questi discepoli: è quella che vorrei provare a delineare oggi.