Il brano di vangelo di oggi è la diretta continuazione di quello di settimana scorsa (le beatitudini) e, infatti, fa parte anch’esso del cosiddetto “Discorso della montagna”.
Le immagini usate sono quelle del sale e della luce.
Entrambe sono riferite ai discepoli e alle discepole di Gesù, cui egli si rivolge dicendo: «Voi siete il sale della terra», «Voi siete la luce del mondo».
Prima di dire altro, credo sia importante soffermarsi su quel “Voi siete” e domandarci se, effettivamente, sentiamo rivolte a noi queste parole.
Ci sentiamo “sale del mondo” e “luce della terra”?
Se no, perché?
Se sì, in che senso?
Credo che ragionare su questi interrogativi possa aiutarci a chiarire meglio cosa intendesse Gesù.
Spesso, infatti, ci si imbatte in persone che non si rendono conto di essere sale e luce, mentre in realtà lo sono. E, viceversa, a volte capita di avere a che fare con individui che ritengono di essere sale del mondo e luce della terra, mentre, in realtà, il loro modo di testimoniare il vangelo respinge anziché attrarre.
Mi pare che possa venirci in aiuto la prima lettura, che utilizza, a sua volta, l’immagine della luce.
Lì possiamo vedere che la nostra «luce sorgerà come l’aurora», laddove sapremo «dividere il pane con l’affamato», «introdurre in casa i miseri, senza tetto», «vestire uno che [è] nudo, senza trascurare i […] parenti».
E ancora: la nostra luce «brillerà fra le tenebre», se toglieremo di mezzo «l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio», se apriremo il cuore «all’affamato», se sazieremo «l’afflitto di cuore».
L’invito a non perdere sapore e a non nascondere la nostra luce sotto il moggio non è, dunque, come a volte si sente dire, un’esortazione a non essere cristiani/e timidi/e, a mettere in piazza la nostra fede e proclamare i nostri valori con un’aria di saccente superiorità e sprezzante giudizio per chi pensa/fa diversamente da noi.
L’invito a non perdere sapore e a non nascondere la nostra luce sotto il moggio significa non smettere mai di stare al mondo con l’atteggiamento dell’attenzione e della cura per gli altri/le altre, soprattutto quelli/e più in difficoltà.
D’altra parte è da questo che – ci dice sempre il vangelo – saremo riconosciuti come discepole e discepoli di Gesù («Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri», Gv 13,35).
Anche perché dobbiamo riconoscere che la nostra stessa vita ha sapore e si illumina quando in essa ricircola l’amore… Perché lo stesso non dovrebbe valere per la vita degli altri/delle altre, per la vita del mondo?