Domenica scorsa – con l’ascensione – abbiamo provato a rivivere l’esperienza della solitudine degli apostoli, di quel vuoto lasciato da Gesù risorto che torna presso Dio.
Questa settimana quel vuoto si riempie: a Pentecoste arriva il dono promesso, lo Spirito Santo.
Questa scansione temporale (Pasqua – 40 giorni di apparizioni del risorto – Ascensione – 10 giorni di attesa – Pentecoste) è quella che propone Luca negli Atti degli apostoli.
Il suo è un intento pedagogico: Egli vuole cioè che i cristiani abbiano il tempo di concentrarsi e riflettere su questi tre momenti: la risurrezione, la “sparizione” di Gesù risorto, la presenza di Dio in Spirito.
Dividendo i momenti e lasciando, tra l’uno e l’altro, un lasso di tempo, Luca (e al suo seguito la liturgia) permette a chi lo desidera di soffermarsi su questi avvenimenti e sul loro significato.
Il vangelo di Giovanni, però, presenta una scansione temporale diversa: «La sera di quel giorno, il primo della settimana», cioè il giorno di Pasqua, «Gesù […] soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”». Per Giovanni, cioè, lo Spirito Santo non sarebbe stato donato 50 giorni dopo Pasqua, ma il giorno di Pasqua stesso.
Questa incongruenza temporale non deve spaventarci (come dicevamo, quella di Luca è solo una scansione pedagogica), quanto piuttosto farci approfondire la riflessione: il problema di non aver visto Gesù risorto, di non poterlo vedere, la sua “invisibilità”, così come quella di Dio, restano esperienze che noi storicamente (proprio come gli apostoli) facciamo tante volte nell’arco di una vita. E questo indipendentemente dalla presenza dello Spirito (dal suo essere stato effuso sulla croce, il giorno di Pasqua o il giorno di Pentecoste).
Perché – appunto – ecco l’approfondimento riflessivo – la presenza di Dio in Spirito è, di nuovo, “qualcosa” di non immediatamente tangibile, visibile, misurabile. Anzi, a me hanno insegnato a diffidare di chi “sente” lo Spirito. Il mio maestro mi diceva infatti: “Se lo senti, non è Lui”…
Il ragionamento non può essere perciò puramente matematico o basato sui pieni e sui vuoti: prima della nascita di Gesù nel mondo c’era Dio (che agiva come creatore e liberatore), poi per circa 33 anni la presenza di Dio nel mondo è stato Gesù di Nazareth, poi il sabato santo il vuoto, poi Gesù risorto (per 40 giorni), poi di nuovo il vuoto per 10 giorni, poi – tranquilli – il mondo si ri-riempito di Dio in Spirito.
Così non funziona. Prima di tutto perché ci sono delle incongruenze (che fine avrebbe fatto il Dio creatore e liberatore presente prima di Gesù, dopo la sua nascita?) e poi perché concretamente non risolve il mio problema personale di relazione col Signore: a parte che io non c’ero in nessuno di quei momenti, ma – pur vivendo nel tempo dello Spirito, quindi in un momento di “pieno” – comunque la sua impalpabilità resta.
A parte l’arco di anni della vita di Gesù di Nazareth, tutte le generazioni precedenti e tutte quelle successive hanno dovuto confrontarsi con questa inafferrabilità di Dio (così invisibile, inudibile e intangibile che qualcuno conclude: è inesistente).
Da questa esperienza di “assenza presente” o “presenza assente”, il Nuovo Testamento sente l’esigenza di indicare i “segni” di questo Spirito: delle immagini che provino a rendere l’idea di perché è nata la fede in quella presenza (seppur assente): il vento, il fuoco, le altre lingue.
Il vento che spinge ad andare; il fuoco che incendia, appassiona, fa ardere; le altre lingue, cioè la capacità di farsi capire e di capire gli altri (non necessariamente imparando l’inglese, magari anche solo usando il linguaggio universale della prossimità).
Comunque siano andate le cose, ciò che gli apostoli hanno voluto trasmetterci con quei segni è che questa presenza di Dio in Spirito è vitale, lo Spirito è vita: rianima, mette in moto, dà coraggio, fa nascere relazioni.
Questi segni non sono poi così lontani da quelli della presenza di Dio prima di Gesù, raccontati nelle pagine dell’Antico Testamento: il Dio creatore (che aleggia come un vento) e liberatore (che parla a Mosè dal roveto ardente) è il Dio della vita, il Dio che dà vita, che crea vita e libera la vita dalla schiavitù, dalle schiavitù, per creare un nuovo popolo (relazioni).
Ciò che la Scrittura tutta pare comunicarci è allora che una vita nello Spirito, una vita spirituale è un’esistenza vitale, un’esistenza liberata e liberante, non statica ma dinamica, appassionata, rianimata, coraggiosa e relazionale.
Una vita forse un po’ diversa da quella che nel nostro gergo spesso chiamiamo “vita spirituale”.
1 commento
Quanto poco si riflette sul senso della vita spirituale. Grazie Chiara, per avermi fatto soffermare su una questione così importante come la vita spirituale. Ogni giorno credo di vivere , ma quanti sono i giorni veramente vissuti in pienezza ?