Se il girono dell’Ascensione si segnala un “secondo lutto” (Gesù torna presso Dio e noi restiamo “senza” di lui), la Pentecoste rimette tutto a posto: Dio è di nuovo presente con il suo Spirito, che è anche lo Spirito di Cristo.
Ma è davvero così?
A dirla tutta, sembrerebbe proprio di no…
È molto difficile dire qualcosa sullo Spirito santo che, nonostante tutti gli sforzi fatti dai teologi e dalle teologhe, dai predicatori e dalle predicatrici, dai mistici e dalle mistiche, resta un grande sconosciuto…
Anch’io ho provato a scrivere in diverse occasioni quello che, a mia volta, ho imparato: lo Spirito è l’amore, la relazione (che si fa persona) tra il Padre e il Figlio; è la verità più intima di Dio (come diciamo lo “spirito” di questo libro, così potremmo dire lo “Spirito” di Dio); è la modalità che abbiamo oggi di relazionarci al Signore (da spirito a Spirito) …
Tutte cose vere… anche interessanti e, per qualcuno/a, forse, anche utili…
Eppure rimane sempre quel qualcosa di poco chiaro, di offuscato, di impalpabile, di vago che lascia sempre un po’ perplessi/e.
Già all’interno del vangelo si intuisce che si tratta di qualcosa di non afferrabile: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
Non a caso, nella Chiesa spesso si ha la tentazione di ignorarlo… parlandone solo a Pentecoste e poi dimenticandoselo per il resto dell’anno liturgico.
Al massimo viene chiamato in causa per quelle situazioni in cui si vogliono suggellare scelte umane con il “timbro” di Dio (l’elezione di un pontefice, la scelta dei libri da inserire nel canone biblico, ecc…).
Il problema, cioè, è sempre il solito: come entrano in relazione Dio e uomo, grazia e libertà, spirito e materia?
Se è Dio ad aver ispirato i libri della Bibbia, come è avvenuta questa ispirazione? Come si può tenere (insieme) la libertà dello scrivente (cioè la sua cultura, le sue convinzioni, il suo errare, ecc…) e la parola di Dio?
E, allo stesso modo, come stanno insieme la mia libertà e la sua grazia? Perché spesso si pensa che quando faccio qualcosa di buono è grazie a Dio e quando sbaglio è colpa mia?
Forse, per sciogliere queste questioni e “inquadrare” meglio l’azione di Dio nel mondo (che è spirituale, che è lo Spirito), è necessario cambiare prospettiva.
Se parto dai due poli (Dio-uomo, grazia-libertà, spirito-materia) e, solo in seconda battuta, penso il loro rapporto, non arriverò mai a instaurare una relazione convincente: o mi sbilancerò su un polo (annullando l’altro) o viceversa. Riterrò, per esempio, che Dio abbia, di fatto, mosso la mano degli agiografi, o, per lo meno, la loro mente… Oppure riterrò che le Sacre Scritture siano solo un prodotto umano.
Se, invece, prima di pensare i poli e solo dopo la loro relazione, ipotizzo prima la loro relazione e – a partire da questa – la realtà dei poli, forse le cose cambiano: a ben pensarci non esiste Dio (se non c’è un essere umano che lo riconosce tale) e non c’è essere umano senza Dio (per essere “umano” un essere è costituzionalmente aperto alla domanda su Dio, qualsiasi cosa risponda). Anche la Bibbia, non è la spiegazione di chi è Dio e di chi è l’uomo, ma è il racconto della storia della loro relazione.
Lo Spirito è quella relazione: questo collegamento che fa sì che l’uomo sia tale, in quanto “abilitato” al collegamento con Dio e che Dio sia Dio (il Dio di Gesù) proprio perché “costituzionalmente” aperto al collegamento con l’umano.
Se siete interessati alla questione, vi consiglio un libro molto interessante che ho letto recentemente: l’autore è Leonardo Paris e il titolo “Teologia e neuroscienze”. Un testo coraggioso, che – a partire da ciò che la scienza oggi ci dice su chi è l’uomo (solo materia) – prova a ripensare cosa voglia dire relazionarsi a Dio.