Il brano del vangelo di questa domenica parla della risurrezione.
Non, però, della risurrezione di Gesù, come siamo abituati a sentire, ma della fede di Gesù nella risurrezione.
Di nuovo, non tanto della credenza di Gesù in una dottrina (“Le persone risorgono dai morti” / “Esiste una vita dopo la morte”), ma della fede, intesa come fiducia di Gesù in Dio, che per lui è Signore dei vivi e non dei morti, che – cioè – ci vuole vivi e non morti.
È, dunque, a partire dalla sua relazione personale col Padre che Gesù sviluppa la convinzione che Dio non lascerà nella tomba i suoi figli e le sue figlie.
Tuttavia, questa idea di Dio non era condivisa ai suoi tempi.
In particolare, l’élite culturale della società ebraica era divisa in due fazioni: da una parte, i farisei, che credevano nella risurrezione (un’idea che si era sviluppata relativamente tardi nella fede di Israele); dall’altra, i sadducei, che, invece, non vi credevano.
Sono proprio alcuni membri di questo gruppo che lo interpellano, in maniera un po’ provocatoria, sulla questione, proponendogli una storiella che avrebbe dovuto metterlo in difficoltà: se una donna, rimasta vedova, sposa (come era prescritto allora) il fratello del marito e rimane vedova anche di quest’ultimo e sposa il terzo fratello e così via… fino al settimo, di chi sarà moglie quando saranno risorti?
Il tranello è quello per cui qualora Gesù rispondesse che il marito è uno di loro (per esempio il primo o l’ultimo), essi avrebbero buon gioco a smentirlo, chiamando in causa le prescrizioni bibliche, che, appunto, facevano di quella donna, necessariamente, la moglie prima dell’uno, poi dell’altro e così via.
Ma anche l’altra risposta che Gesù avrebbe potuto dare, e cioè che ella sarebbe la moglie di tutti loro, avrebbe dato scandalo: come potrebbe, alla risurrezione, avere più mariti?
L’idea dei sadducei è quella di chiudere Gesù in un vicolo cieco: qualsiasi risposta egli dia, si ritroverebbe in scacco.
Gesù, invece, come spesso gli è accaduto di fare, identifica una terza via, impensabile per i suoi interlocutori: quella donna non è di nessuno, perché «quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito».
Questa risposta apre uno scenario nuovo e sollecita ulteriori riflessioni.
Nella mentalità dell’epoca (e per certi aspetti ancora in tante mentalità di oggi) non era pensabile una donna che “non fosse di nessuno”, cioè una donna che avesse il suo senso di esistere in se stessa, in quanto essere umano e non in quanto funzione sociale (“figlia di…”, “moglie di…”, “mamma di…”).
Con la sua replica Gesù non sta, quindi, solo proclamando la sua fede nella risurrezione, ma sta anche ribadendo quanto già aveva più volte mostrato nella sua vita: l’uguaglianza dell’uomo e della donna.
Per Gesù non ci sono disparità tra gli esseri umani (dunque non dovrebbero esserci discriminazioni): ai suoi occhi siamo tutti “figli e figlie” di Dio (Padre/Madre dell’umanità) e questa figliolanza fonda l’uguaglianza tra di noi: fratelli e sorelle nell’umanità, fatti dello stesso impasto umano, guardati con lo stesso amore da chi ci ha creati/e. Tant’è che nel momento in cui pensiamo all’essere umano nella sua pienezza (risorto dopo la morte), dobbiamo pensarlo “di nessun altro essere umano”, non funzionale a qualcun altro.
Si tratta di una prospettiva che la Chiesa ha spesso taciuto o dimenticato (per esempio quando parlava delle donne come di “uomini mancati”) e che ha ingenerato una cultura patriarcale, di cui ancora paghiamo le conseguenze.
Ma la Chiesa non è solo l’istituzione, la Chiesa siamo noi…
Possiamo, quindi, almeno partire da noi stessi per vedere se siamo davvero nella prospettiva di Gesù, chiedendoci cosa intendiamo quando diciamo di avere fede nella risurrezione e domandandoci quale sia, in radice, la nostra considerazione delle donne della nostra vita.