La settimana scorsa, il vangelo ci aveva fatto riflettere sul fatto che la proposta di Gesù – così dirompente e innovativa nella sua idea di Dio, di essere umano e di relazioni – fosse stata (e continui a essere) una proposta divisiva, che separa l’uditorio tra chi la accoglie e la fa sua e chi, invece, la ritiene ingenua, sbagliata, inadatta.
Oggi, qualche versetto dopo rispetto a dove ci eravamo fermati/e, leggiamo un’altra connotazione della medesima proposta: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
La parola “giogo” richiama la durezza della scelta di mettersi al seguito di Gesù: come dicevamo domenica scorsa, il suo messaggio non è un generico “Vogliamoci bene”, una pacca sulla spalla e via… C’è una radicalità implicata nella decisione di provare a vivere il vangelo: se davvero si sperimenta l’amore (anche per i nemici / le nemiche), il tentativo di non rilanciare il male quand’esso ci viene fatto, l’opzione preferenziale per i più disgraziati e le più disgraziate… la vita può farsi anche molto dura e “scavare l’anima”.
Eppure, quel medesimo “giogo” è definito da Gesù “dolce” e “leggero”. L’asperità che si sperimenta quando si prova a vivere una vita evangelica, restituisce contemporaneamente una leggerezza, una dolcezza.
È un po’ come con il parto: c’è un dolore da patire, una fatica prolungata, una determinazione che fa sbattere la testa… e tuttavia, contemporaneamente, c’è la dolcezza e la leggerezza del dare la vita.
Le due cose non si cancellano, stanno insieme: la potenza degli ossimori (come quello usato nel testo “giogo-leggero”) è proprio quella di tenere insieme aspetti contrastanti, eppur veri entrambi.
A ben pensarci, questa stessa dinamica è all’opera in tante altre esperienze umane: ogni volta che siamo disposti a patire dolore, fare fatica e sbattere la testa per qualcosa che riteniamo giusto (lo studio, lo sport, un ideale…), viviamo la medesima esperienza ossimorica di portare “giogo-leggero”, cioè di provarlo davvero nella carne quel dolore, di fare fino in fondo quella fatica, di prendere zuccate a non finire e – contemporaneamente – di sperimentare una pienezza, una dilatazione interiore, un respirare a pieni polmoni che ci fa dolci e leggeri.
Gesù – proponendosi come “giogo-leggero” – sta quindi dicendo che il suo vangelo è una cosa seria, è un’impresa (non una passeggiata), ma è anche contemporaneamente ciò che ci può portare alla pienezza della vita.
Sta a noi decidere cosa fare, come determinarci, chi essere.
Possiamo declinare la proposta.
Oppure possiamo tentare l’impresa.
L’importante è non fraintenderne la portata, cioè scioglierne l’ossimoro, tenendo solo il “giogo” o la “leggerezza”.