Il vangelo di questa domenica ci presenta una parabola molto conosciuta: quella del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio a pregare.
Conosciamo tutte e tutti, credo, il contenuto delle loro preghiere e l’esito della storia.
Il fariseo ringrazia Dio perché non è come gli altri uomini (ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come il pubblicano), elencando poi i suoi meriti: «Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo».
Il pubblicano, invece, «fermatosi a distanza», non osa nemmeno alzare gli occhi, ma, battendosi il petto, chiede pietà, poiché sa di essere un peccatore.
Quest’ultimo – commenta Gesù – a differenza del primo, torna a casa sua giustificato.
Il mio timore, di fronte a queste parabole arci-note, è che non riescano più a “fare effetto”.
Nessuna cristiana, nessun cristiano che conosce questa storia, pregherebbe mai consapevolmente come il fariseo. Useremmo tutte e tutti le parole del pubblicano…
Il punto è capire se lo facciamo perché abbiamo capito il senso della storia narrata da Gesù oppure perché – conoscendo il finale – ci siamo adeguati a quello che riteniamo lo accontenti.
Provo a spiegarmi…
I farisei erano quel gruppo sociale/religioso che riteneva che il Regno di Dio si sarebbe compiuto quando tutti gli Ebrei avessero tenuto una condotta impeccabile, rispettosa di tutti i precetti contenuti nella Legge. Si tratta, dunque, di brave persone, che si comportano bene, che sono addirittura scrupolose e puntigliose nell’osservanza delle regole.
Certo, non si chiedono se siano tutte regole giuste… non si domandano se l’osservanza pedissequa della legge non possa comunque portare a forme di ingiustizia… a volte ci marciano e, ipocritamente, sfruttano i precetti per i loro interessi… ma resta che sono persone per bene!
I pubblicani, invece, erano gli esattori delle tasse per conto dei Romani. Ebrei che collaboravano con gli invasori e che – per di più – lucravano sulla pelle delle persone, chiedendo più del dovuto e intascandosi la differenza. Per questo erano odiati, tanto che “pubblicano” era diventato sinonimo di “peccatore”.
Quindi (prima annotazione) andiamoci piano a simpatizzare con i pubblicani e a disprezzare i farisei.
Anche perché, altrimenti, non capiamo la parabola, la quale, infatti, gioca proprio sulla sensazione opposta: mostrare che la preghiera di colui che appartiene alla categoria dei “cattivi” è più apprezzata della preghiera di colui che appartiene alla categoria dei “buoni”.
Per sentire l’effetto che una storia come questa suscitava in chi la ascoltava a quei tempi, potremmo fare un parallelismo moderno: sostituite la parola “fariseo” con il nome comune di un membro di una categoria di “buoni” (un monaco? un lavoratore che paga le tasse? … vedete voi…) e la parola “pubblicano” con il nome comune di un membro di una categoria di “cattivi” (un pedofilo? Un evasore fiscale? … anche qui, vedete voi…). Poi provate a rileggere la parabola e a sentire Gesù che commenta: “Il pedofilo tornò a casa giustificato a differenza del monaco”; “L’evasore fiscale tornò a casa giustificato a differenza del lavoratore che paga le tasse”.
Credo che – a questo punto – ci si drizzerebbero i capelli in testa, come agli ascoltatori di Gesù.
Perché?
Perché noi tutte/i ci sentiamo più vicine/i ai “buoni”… e sentirci dire che Dio ha apprezzato la preghiera di un cattivo più che la nostra, ci fa arrabbiare e ci rende attoniti.
Solo a questo punto il nostro cervello si fa attento: non si tratta della solita storiella del “comportati bene, così Dio ti vorrà bene”… anzi, pare tutto il contrario! Cosa avrà voluto dire Gesù?
Che «chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato»…
Ma se io ho solidarizzato col “buono”, vuol dire che “quello che si esalta” sono io… che mi sento buono…
Il messaggio è arrivato… e chiede una riflessione su se stessi: non avremo mica anche noi l’intima presunzione di essere giusti?
Seconda annotazione: Perché senza il parallelismo con la nostra epoca, il marchingegno parabolico non aveva funzionato? Perché, conoscendo la storia, noi da subito solidarizzavamo col pubblicano… da un lato, perché non ci fa così senso come il pedofilo o l’evasore, visto che non abbiamo mai avuto a che fare con un pubblicano in carne e ossa; ma soprattutto perché dall’altro lato – conoscendo il finale – sappiamo da che parte sta Gesù e, quindi, ci collochiamo opportunisticamente dalla sua parte… sentendoci ancora più giusti…
2 commenti
Grazie.. davvero molto coinvolgente
Ottima la riflessione che scaturisce dall’esame attento del testo. Bisognerà allora chiederci se siamo “buoni” per attirare la benevolenza degli altri e soprattutto di Dio o se veramente il nostro comportamento è dettato dall’ amore verso il prossimo. E nel secondo caso fino a dove siamo disposti a spingerci? Attendere oltre l’orario il padrone come i servi saggi o limitarci al nostro compito istituzionale di buoni osservanti della “legge” come i servi “inutili? Grazie per il suo esame profondo che porta anche ad altre riflessioni.
Maria Paola Badini