In questa ultima domenica prima di Natale, finalmente la liturgia ci presenta un brano di vangelo tratto dai testi che riguardano la gravidanza di Maria.
Noi sappiamo che ciò che viene narrato risale – nel caso di Luca – a circa un’ottantina di anni prima della stesura del vangelo.
E siamo consapevoli anche del fatto che il racconto è stato costruito a posteriori, in chiave teologica e non cronachistica.
L’evangelista Luca, quindi, quando ormai sono passati 80 anni dalla nascita di Gesù e una quarantina dalla sua morte e risurrezione, scrive due capitoli iniziali che vogliono inquadrare la vicenda del protagonista del suo libro a partire dalle sue origini, dalla sua infanzia.
È come se Luca, nei primi due capitoli del suo vangelo, alla luce di quello che poi Gesù è stato da grande, volesse presentarci alcuni tratti della sua storia, della sua persona, del contesto in cui è cresciuto che – da subito – ci introducano nella conoscenza di Lui.
Ecco perché sceglie di parlarci di sua madre.
Non attraverso la cronaca della sua gravidanza, ma mettendo continuamente in parallelo l’esperienza di Maria con quella di Zaccaria ed Elisabetta, due coniugi che – a loro volta, nel medesimo periodo – concepiscono, attendono e vedono la luce di un figlio: Giovanni Battista.
In particolare, il testo del vangelo di questa domenica ci presenta l’incontro delle due future mamme: Maria ed Elisabetta.
Maria infatti, appena l’angelo che le ha annunciato che diventerà madre se ne è andato, «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda».
Perché?
Perché l’angelo, nel suo discorso, aveva fatto riferimento proprio a Elisabetta, che – già avanti con gli anni – era rimasta incinta.
Maria corre a vedere se è vero e «entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta».
Non sappiamo cosa Maria abbia detto né che tono abbia usato, se fosse sorridente ed entusiasta, animata dalla vivacità della sua gioventù, o preoccupata e pensierosa, con l’ansia di una maternità inaspettata.
Il vangelo tace in proposito; e sebbene i biblisti si raccomandino di non riempire i silenzi dei testi con la nostra fantasia, sarebbe interessante chiederci come ci immaginiamo l’ingresso di Maria in casa di Elisabetta.
Ciò che invece il testo dice è che «appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo».
Anche questo sussulto può avere vari significati: si sussulta di gioia, ma anche per l’agitazione.
Elisabetta – e di conseguenza il bambino che aveva in pancia – sussultano perché si spaventano nel vedere Maria o perché sono felici di vederla?
Certo il saluto di Elisabetta, scioglie l’ambiguità, perché «esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”».
Il fatto che benedica la nuova arrivata e per di più esclamandolo «a gran voce» è un chiaro segno di quanto Elisabetta sia contenta di vedere Maria.
Luca però, prima di esplicitare le parole di Elisabetta, inserisce la specificazione per cui ella «fu colmata di Spirito Santo».
Com’è da intendere questa espressione?
Forse – memori di qualche raffigurazione religosa – ci immaginiamo questo essere colmata di Spirito Santo come un intervento puntuale di Dio, come se Dio (fuori campo) intervenisse nella storia per modificare l’interiorità di una persona: Elisabetta, fino a un attimo prima era in un modo e poi – zac – l’intervento da fuori dello Spirito Santo le avrebbe fatto dire cose che di suo non avrebbe mai detto, non avrebbe mai saputo, non si sarebbe nemmeno immaginata.
Io sono molto scettica su questo modo di guardare all’azione di Dio e del suo Spirito, come se fossimo delle marionette che – ad un certo punto – iniziassero a parlare come se fossero invasate.
Mi sento invece molto più a mio agio a pensare che Dio e il suo Spirito non intervengano “da fuori”, in maniera estemporanea, ma siano in continuo dialogo con la parte più intima di noi stessi, così intrecciati al nostro spirito da non riuscire a distinguerli facilmente.
Non è perciò lo Spirito che parla attraverso le corde vocali di Elisabetta, è proprio lei.
Lei che – con lo spirito intrecciato allo Spirito di Dio (come è per lo spirito di ogni essere umano) – è estasiata dal vedere un’altra futura mamma come lei.
Le due donne – seppur così diverse per età – si rispecchiano l’una nell’altra, vedono nell’altra la stessa esperienza che stanno vivendo loro, le stesse angosce, le stesse paure, ma anche le stesse trepidazioni, le stesse aspettative.
Chissà cosa sapeva già Elisabetta di Maria, del suo strano concepimento, del suo aver accettato quella gravidanza… Di certo sa che – come ogni donna che aspetta un bambino – Maria, proprio come lei, «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»: ha creduto alla promessa della vita, alla promessa insita nella vita.
Certo, questo è un racconto teologico, in cui Luca vuole già anticiparci che il bambino che Maria porta in grembo è il Signore («A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?»), però – provando a stare dentro al racconto e non a guardarlo dal di fuori – resta comunque interessante chiederci quale promessa queste due madri vedessero nelle nuove vite che portavano in grembo, quali fossero le loro aspettative, cosa si immaginassero per i loro figli.
Sarebbe interessante anche provare a porre a noi stessi le medesime domande: a quale promessa di vita hanno creduto le nostre mamme per metterci al mondo?
Mi pare un bel modo per affrontare l’ultima settimana prima di Natale.