In questa quarta domenica di quaresima incontriamo un altro testo tratto dal vangelo di Giovanni.
Anch’esso è molto noto (e molto lungo): si tratta dell’incontro di Gesù con il cieco nato.
Nuovamente, l’intento dell’evangelista è mostrare il percorso di riconoscimento della vera identità di Gesù: il percorso dalla cecità alla luce.
Contemporaneamente, però, è all’opera anche il disvelamento dell’identità dell’uomo (del cieco).
In questa prospettiva va letta la prima affermazione di Gesù: il cieco non è cieco per una colpa (sua o dei suoi genitori). Il primo disvelamento riguarda dunque il cieco: non è un peccatore, come tutti credevano, affidandosi alla mentalità dell’epoca che identificava le persone malate, disabili o misere come “colpevoli”.
Questa affermazione di Gesù, però, ci rivela qualcosa anche della sua persona: lui non è qualcuno che guarda le persone a partire dai preconcetti che l’impianto culturale gli consegna.
Il secondo passaggio riguarda ancora il cieco, ormai divenuto vedente, poiché chi lo conosceva (o meglio, chi pensava di conoscerlo, di poterlo identificare con quella casella in cui lo aveva sempre collocato) non riesce a pensarlo in modo nuovo: «“Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. Alcuni dicevano: “È lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli assomiglia”».
Nonostante l’ex cieco provi ad affermare la sua identità («Sono io!»), lo scetticismo prevale e tutti vogliono saperne di più: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?».
È a questo punto che egli, rispondendo, si pronuncia una prima volta circa l’identità di Gesù: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista».
Per il momento, l’identità del guaritore è “l’uomo che si fa chiamare Gesù”.
L’interrogatorio però prosegue, stavolta dinanzi ai farisei. È qui che, come in una spirale che va sempre più in profondità, l’ex cieco delinea via via in maniera sempre più chiara l’identità di Gesù: «È un profeta!», «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo», «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
Questa sua analisi sull’identità di Gesù cambia, però, anche la sua: è passato da cieco (e mendicante) a vedente e ora diventa un vedente scomunicato.
Il brano, tuttavia, non termina qui, ma ci propone un nuovo incontro tra lui e Gesù, dove il reciproco percorso di svelamento delle identità dei due trova compimento: «Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”».
La parabola del disvelamento dell’identità del cieco lo porta a diventare un credente. Quella di Gesù a passare da “l’uomo chiamato Gesù” a “Signore”.
L’evangelista Giovanni, con questo episodio, vuole mostrarci il percorso che ciascuno/a di noi può intraprendere: come in ogni relazione, anche in quella col Signore, ci si può conoscere solo reciprocamente, svelandosi progressivamente gli uni / le une agli altri /alle altre.
Non c’è rivelazione dell’identità senza storia, senza una storia condivisa…
È a questo che siamo invitati: a costruire una condivisione di storie tra noi e il Signore, perché pian piano lui ci possa conoscere, noi possiamo conoscerlo e (anche) noi possiamo conoscere noi stessi.