Il brano di vangelo di questa domenica è la versione di Luca del racconto di Giovanni (che aveva introdotto l’assenza di Tommaso) letto la scorsa settimana.
Alcuni elementi sono infatti i medesimi. In particolare:
- il saluto riconciliante di Gesù «Pace a voi!», quello che nella versione araba abbiamo sentito tante volte rivolgerci da amici musulmani “Salam aleikum”;
- l’invi(t)o finale a predicare «il perdono dei peccati», cosa su cui dovremmo riflettere, perché non so quanti alla domanda “Cosa deve fare un cristiano?” risponderebbero in prima battuta “Dire a ogni umano/a che è un/a perdonato/a”. Guardando così a occhio e croce la storia, mi pare che i cristiani si siano concentrati molto di più nel dire e nel dirsi che erano dei peccatori non dei perdonati.
Ci sono poi però delle specificità o delle sottolineature del brano di Luca su cui val la pena focalizzare l’attenzione:
- Luca mostra in maniera più evidente rispetto a Giovanni come l’apparizione di Gesù non sia “riservata” ai soli apostoli, ma ad una cerchia più ampia: «agli Undici e a quelli che erano con loro» (Lc 24,33). In verità anche Giovanni parlava di discepoli («La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù», Gv 20,19), ma la centralità che la figura di Tommaso assume nel Quarto Vangelo, sposta un po’ l’attenzione sui soli apostoli. Sembrano sottigliezze, ma – considerato che la forma gerarchica che la chiesa si è data è basata proprio sulla distinzione tra apostoli e discepoli e tra maschi e femmine – forse l’elemento non è poi così secondario.
- Mentre Giovanni 20,19-29 sottolinea la gioia dei discepoli («I discepoli gioirono a vedere il Signore», Gv 20,20), Luca – oltre alla gioia – mette in campo anche altre due reazioni, di cui solitamente siamo meno consapevoli, la paura e l’incredulità: «Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma», «per la gioia non credevano», «erano pieni di stupore». Perché siamo meno consapevoli di queste due reazioni? Perché per secoli la predicazione legata alla risurrezione è stata indirizzata verso un’interpretazione revanscista della Pasqua, che non lasciava spazio a timori e dubbi (paura e incredulità, appunto), che però – guarda caso – sono forse le reazioni che anche a noi vengono spontanee. La risurrezione di Gesù, come abbiamo detto qualche giorno fa, non è un “tutto chiaro”, ma una penombra; e la fede nel risorto non è un’istantanea, ma un percorso.
- Infine, mentre nella versione di Giovanni, Gesù mostra subito le mani e il fianco, mostra cioè subito di essere il crocifisso, Luca lascia uno spazio di fraintendimento: «credevano di vedere un fantasma». Accanto ai segnali che gli evangelisti ci lasciano per indicare che il risorto è il crocifisso, cioè lo stesso Gesù che aveva vissuto con i suoi discepoli fino a pochi giorni prima (e anche oggi oltre ai segni della crocifissione ne abbiamo uno eclatante: Gesù che mangia un pesce arrostito), Luca introduce anche un segnale di discontinuità: non lo riconoscono subito, lo credono un fantasma. I racconti di apparizione infatti hanno questa duplice intenzione: dire che Gesù risorto è sempre lo stesso Gesù di prima, ma anche dire che non è semplicemente tornato vivo (come Lazzaro) per poi ri-morire. È quindi sempre lui, ma ha qualcosa di diverso, è entrato “in un’altra dimensione”, è risorto, appunto. Per mostrarlo gli evangelisti introducono allora segni di discontinuità: non lo riconoscono, entra a porte chiuse, sparisce…
È andata realmente così? Si tratta di racconti che fanno la cronaca delle apparizioni? Oppure sono rielaborazioni teologiche per narrare un’esperienza difficilmente dicibile? Sono modalità letterarie per raccontare la loro fede? Ognuno valuti il suo punto di vista: ciò che è chiaro è che la certezza con cui la Chiesa nascente è uscita da questi eventi è che Dio è in pace con l’umanità e questo va annunciato fino ai confini del mondo.