Il vangelo della terza domenica di Avvento ci presenta – nuovamente – la figura del Battista, nella descrizione – questa volta – dell’evangelista Giovanni.
Il Quarto Vangelo attribuisce al Battista il ruolo del testimone: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni».
La parola “testimonianza” in greco è “marturìa”, da cui deriva il nostro italiano “martirio”.
Il testimone è “colui che ha visto” e che per questo parla.
Cosa ha visto il Battista?
La sua testimonianza – inizialmente – è negativa: «Io non sono il Cristo».
Giovanni rifiuta le aspettative messianiche legate alla sua persona.
Rifiuta anche altri appellativi che gli vengono attribuiti, quello di essere Elia e di essere un profeta.
La figura di Elia faceva riferimento ai tempi messianici: dato che la Bibbia non racconta la sua morte, ma il suo rapimento in cielo, si riteneva che il suo ritorno avrebbe prefigurato l’arrivo del messia.
Gesù stesso, secondo l’evangelista Matteo, dirà di Giovanni Battista che era «lui quell’Elia che deve venire» (Mt 11, 14).
Ugualmente, sarà proprio Gesù ad attribuire a Giovanni il titolo di profeta: «Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta”» (Lc 7, 24-26).
Perché – allora – nel vangelo di Giovanni, il Battista allontana da sé questi epiteti?
Perché l’intento narrativo è quello di spostare tutta l’attenzione su Gesù, che pure non viene esplicitamente nominato nel testo: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa […] Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
L’evangelista Giovanni, ci presenta la figura del Battista totalmente rivolta verso l’atteso.
La sua persona si fa – passatemi l’immagine – come un emblematico cartello che indica qualcun altro.
È come se – a chi pensasse di essere arrivato alla meta, giungendo da Giovanni – egli rivelasse che la meta è un’altra, un’altra la destinazione.
È il motivo per cui, proprio in avvento, i riferimenti al Battista sono così presenti (addirittura due domeniche su quattro ci parlano di lui).
L’avvento è, infatti, il tempo in cui ci si concentra sull’attesa, sulla preparazione all’incontro col Signore. Non perché quell’incontro avvenga a Natale (o solo a Natale), ma perché ogni giorno della vita può essere segnato da quell’incontro e allora ci si prende un periodo in cui maggiormente si riflette su come ci si possa preparare, su chi si debba attendere.
Gesù e Giovanni avevano due idee diverse riguardo a Dio. Dice, infatti, ancora Gesù circa il Battista: «Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» (Lc 7, 28).
I cristiani e le cristiane sono coloro che attendono l’incontro col volto di Dio rivelato da Gesù, non con quello (ancora parziale, anticotestamentario) di Giovanni.
Come dicevamo la settimana scorsa, sapere chi si attende, orienta l’attesa…
L’avvento può, allora, diventare l’occasione per tornare a scoprire e fare nostra la teologia di Gesù, il volto di Dio che egli ci ha rivelato.