Il brano di questa domenica comincia con Gesù che «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli».
Non è la prima volta (e non sarà l’ultima) che Gesù porta con sé questa cerchia più ristretta di apostoli e solo loro.
Lo aveva già fatto quando – chiamato dal capo della sinagoga Giàiro perché sua figlia stava male e intercettato per strada dalla notizia che la ragazza era morta – aveva comunque deciso di andare a casa sua. Non aveva però permesso «a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo» (Mc 5,37). Lì infatti aveva poi avuto luogo l’unico miracolo di risurrezione narrato dall’evangelista Marco (gli altri due presenti nel Nuovo Testamento, la risurrezione di Lazzaro e quella del figlio della vedova di Nain, sono raccontati rispettivamente nel vangelo di Giovanni e in quello di Luca).
Gesù vorrà poi con sé solo questi tre discepoli al Getsèmani, cioè nell’orto degli ulivi, dopo l’ultima cena, quando «cominciò a sentire paura e angoscia» (Mc 14,33).
Quindi, le volte che Gesù porta con sé solo questi tre discepoli è perché si ha a che vedere con la morte (già avvenuta, per la figlia di Giàiro, o prossima, per Gesù stesso).
Nell’episodio di oggi, invece, apparentemente non c’è alcun riferimento alla morte: anzi, la trasfigurazione è spesso stata interpretata come il momento del trionfo terreno di Gesù, trionfo di gloria, trionfo di effetti speciali, tanto da mettere a disagio i tre, che non sanno cosa dire.
Solo l’evangelista Luca, a proposito del dialogo tra Gesù, Mosè e Elia, riporta che «parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31), Marco no: nella sua narrazione sempre essenziale, non c’è spazio per queste precisazioni.
Eppure…
Eppure la presenza di questi tre apostoli e di loro soli non può che essere un segnale letterario e – se nelle altre due occorrenze si parlava della morte – anche qui bisogna vedere se non ci stia sfuggendo qualcosa.
In effetti, basta girare pagina (sia indietro che avanti) per accorgersi che l’episodio della trasfigurazione è incastonato tra i primi due annunci della passione di Gesù (Mc 8,31-38 e Mc 9,30-32).
Il contesto all’interno del quale viene inserito l’episodio della trasfigurazione è dunque quello della comunicazione ai suoi discepoli che la fine è prossima e sarà dolorosa («Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere», Mc 8,31).
La reazione alla prospettiva delineata da Gesù – com’è comprensibile – non era stata molto positiva…
«Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32).
Ecco che allora prende senso il messaggio che – durante la trasfigurazione – arriva attraverso la voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
Finché Gesù ha annunciato il Regno di Dio (in parole e in opere), era facile ascoltarlo, addirittura appassionante ed entusiasmante: li aveva coinvolti in un’avventura straordinaria fatta di vita itinerante, fraterna, a contatto con tanta gente, contestando l’ordine costituito, ridando dignità a persone disperate, ecc…
Ma ora che Gesù parla di morte e di morte sulla croce, quindi di morte straziante e maledetta, non è più tanto facile ascoltarlo.
Tutto si ribella dentro di loro.
Ecco perché li porta in disparte, gli fa prendere distanza dalla concitazione della quotidianità, li porta in montagna (dove, chi ci è stato lo sa, velocemente cambiano le luci e le ombre – un attimo prima sei abbagliato dal sole e un attimo dopo il cielo si fa scuro – e Gesù un momento prima sfolgora, il suo vestito è bianco, proprio come quando il sole abbaglia, e un attimo dopo è coperto dall’ombra di una nube) e gli spiega le Scritture (la Legge e i Profeti), cioè la sapienza del popolo (in verità di ogni popolo), che lo sa benissimo che la parabola di uno come Gesù non può che finire in un massacro (come tutti i profeti della storia).
Infatti «improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo»: alla fine restano loro, con questa cruda consapevolezza…
… ma, se tutto quello che succederà dopo potrà portarli a pensare che Gesù è abbandonato da Dio (lui stesso lo penserà sulla croce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni […] Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», Mc 15,34), che è sconfessato da Dio («Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce», Mc 29-30), che addirittura è maledetto da Dio («l’appeso è una maledizione di Dio», Dt 21,23), loro sono i testimoni di una voce che ha detto: «Questi è il Figlio mio, l’amato».