Il vangelo di questa seconda domenica di Pasqua, ci propone il famoso episodio dell’incredulità di Tommaso.
Più che sulla vicenda in sé, però, mi piacerebbe soffermarmi sul senso di questo racconto.
Innanzitutto, dobbiamo ricordare che i fatti narrati nel vangelo non sono mai scritti in presa diretta: il momento in cui si elabora questa pericope è lontano diversi anni dal tempo in cui sono collocati i fatti esposti.
Ciò vuol dire che chi scrive non ha l’intenzione di fare la cronaca di ciò è avvenuto, ma di introdurre i lettori in un’esperienza che loro non hanno direttamente vissuto.
Provo a spiegarmi meglio: chi scrive non vuole raccontare ciò che è successo a chi non c’era, ma vuole far accedere chi non c’era a un’esperienza che resta possibile (oggi) anche per chi non c’era (allora).
L’esperienza in questione è la fede nel risorto.
La domanda che sottende il testo è dunque la seguente: com’è possibile avere accesso oggi alla fede in Gesù risorto per chi non l’ha visto risorto?
Questa finalità del testo rende meno stringente per chi scrive il riferimento alla cronaca, che resta infatti sfumata (molti dettagli restano non precisati, altri hanno valore simbolico, altri non concordano con quelli degli altri vangeli).
Capire il brano, vuol dire allora, provare a seguire la domanda di fondo, per rintracciare l’itinerario che l’evangelista vuole farci percorrere.
Tommaso siamo noi: gli assenti, quelli che non hanno visto e che – per questo – fanno molta fatica a credere alla risurrezione di Gesù. Quante volte abbiamo sentito o usato l’espressione “Se non vedo, non credo”.
L’intento del vangelo è quello di ribaltare questo modo di pensare, tanto che proprio a Gesù vengono messe in bocca le seguenti parole: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
La questione si gioca, quindi, tutta sul rapporto vedere-credere.
È possibile credere senza vedere?
Tendenzialmente, ci verrebbe da rispondere “No”.
Eppure… tutte/i noi ogni giorno ci fidiamo di un sacco di cose che non abbiamo visto.
Abitiamo case, fidandoci che gli architetti le abbiano progettate bene e i costruttori le abbiano erette in maniera adeguata. Mangiamo senza analizzare in laboratorio cibi che non abbiamo prodotto noi, ma che compriamo, fidandoci di produttori, venditori, commessi, ecc… Prendiamo mezzi di trasposto senza vedere la patente dei conducenti o il collaudo di pullman, aerei e così via…
Cosa voglio dire?
Che forse il credere è meno strettamente legato al vedere, di quanto di primo acchito saremmo portati a pensare…
Per non parlare di tutte quelle altre cose cui crediamo e che, nemmeno se volessimo, potremmo certificare: l’amore delle persone care, la stima degli altri / delle altre, l’intensità di un rapporto…
Sulla base di cosa, allora, crediamo?
Noi crediamo a chi e a ciò che ci risulta credibile.
E cosa / chi è credibile?
Ciò che ha dei “titoli di credibilità”, chi ci risulta “affidabile”.
Rispetto alla risurrezione di Gesù, la domanda non è, dunque, “Credo a Gesù risorto?”, ma “L’annuncio della risurrezione di Gesù ha titoli di credibilità, è affidabile?”.
A ognuno la sua risposta.