Il 2025 inizia con il prologo di Giovanni, l’inno cristologico più famoso del Nuovo Testamento.
È un testo difficile da commentare, perché – come ogni forma poetica – andrebbe “gustato” e non “spiegato”.
La sua potenza sta proprio nel fatto che lo si assapori proclamandolo.
Tuttavia esso costituisce un tale condensato teologico, che qualche sottolineatura merita di essere fatta.
Innanzitutto quell’«in principio» – ripetuto due volte nei primi versetti – evoca l’incipit di tutta la Scrittura («In principio Dio creò il cielo e la terra», Gn 1,1) e colloca l’intera storia del mondo nella prospettiva del Verbo, in greco Logos, Parola, Ragione.
All’origine vi è la Parola, la Parola di Dio – Dio che parla, diceva il libro della Genesi («Sia la luce!», Gn 1,3) – e che Giovanni proclama essere la Parola che è «presso Dio», la Parola che è «Dio»: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio».
È una Parola creatrice, per mezzo della quale «tutto è stato fatto», e che anche l’evangelista – come il libro della Genesi – associa alla luce: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta».
La novità è che questo Verbo, questa Parola si è fatta carne («E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»), portando con sé grazia e verità: «E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità».
Grazia e verità che «vennero per mezzo di Gesù Cristo» e che consistono nella rivelazione del Padre: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato».
L’evangelista Giovanni propone, dunque, il medesimo annuncio dei sinottici: la grazia e la verità sono il vangelo, la buona notizia, l’averci raccontato Dio (la cui verità è che ama gratis).
Ma la forma poetica che il Quarto evangelista decide di utilizzare ci permette di guardare ciò che già sappiamo con occhi diversi.
L’uso di espressioni differenti, di un linguaggio inusuale, infatti, ci salva dal pericolo di dare per scontato un annuncio già sentito molte volte e che – per abitudine – rischiamo di farci scivolare addosso, perdendone la potenza: Gesù di Nazareth – con la sua esistenza storica – ci ha raccontato chi è Dio in verità, colui che – contro ogni aspettativa (di ieri e di oggi) – ci grazia, ci ama gratis, ci abilita a vivere senza dovergli pagare un prezzo.
Abbiamo, dunque, questa possibilità – di vivere da graziati, da amati, da salvati.
Ricordarlo e rimeditarlo all’inizio di un nuovo anno civile può essere promettente.