In questa seconda domenica di avvento, la liturgia ci fa ripartire dall’inizio del vangelo di Marco che, come è noto, non racconta nulla di Gesù bambino.
La prima pagina del vangelo più antico inizia la narrazione quando Gesù è già trentenne.
Il testo si concentra, però, sulla figura del precursore: quella di Giovanni Battista.
Gesù è citato solo nel primo versetto, che funge da titolo del libro: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio».
In realtà, di lui, si dice già praticamente tutto: è Cristo (il messia, l’unto del Signore, l’eletto) e Figlio di Dio.
Tuttavia, per scoprire cosa vogliano dire questi titoli, come vadano riempiti di significato, servirà leggere tutto il vangelo, fino alla fine.
Intanto, il primo passo da compiere è iniziare la lettura dalla prima pagina che parla – appunto – di Giovanni Battista.
Perché questa pagina viene letta in avvento, quando ci stiamo preparando alla nascita di Gesù? Perché partiamo da Giovanni Battista che iniziò la sua predicazione quando Gesù era già grande?
Perché ogni memoria dell’attesa di Gesù non può che far riferimento a colui che per eccellenza è stato “colui che ha atteso il messia”, Giovanni appunto.
È lui, infatti, che fa sue le parole del profeta Isaia che invitano alla preparazione: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri».
Queste parole sono state spesso interpretate come la necessità di una revisione moralistica della propria vita: non si può accogliere il Signore che viene se non si è degni. Serve, dunque, una conversione, un fare ammenda per i propri peccati e l’impegno a non commetterli più.
È un po’ la logica che impregna ancora molte (delle poche) persone che frequentano le chiese: quanti/e non fanno la comunione perché non si sentono “a posto”, non si sentono degni/e.
Questo appiattimento su una revisione moralistica della propria vita rischia, però, di far perdere di vista il vero senso dell’attesa, della preparazione, dell’incontro.
Dovremmo chiederci che reazione ci provoca l’annuncio della venuta (dell’incontro) col Signore.
Paura, gioia, trepidazione…?
Al di là della risposta che ci viene in mente, pensandoci – appunto – con la mente, dovremmo domandarci quale reazione reale suggeriscano i nostri comportamenti: se di fronte all’annuncio dell’incontro col Signore, la nostra preoccupazione è di farci trovare “a posto”, significa che di quel Signore abbiamo paura… temiamo il suo giudizio e facciamo di tutto perché sia positivo.
Se, invece, a prevalere è la gioia, significa che l’incontro non ci spaventa, ma anzi ci entusiasma.
Il punto – allora – diventa il seguente: la nostra preparazione sarà funzionale a ciò che ci attendiamo, cioè a che idea di Dio abbiamo in testa, mentre lo aspettiamo.
È questa, dunque, la domanda da porci all’inizio dell’avvento: non “sono a posto?”, ma “chi aspetto?”.
Perché è il “chi aspetto” che determina il “come mi preparo”.
Sarà quell’incontro gioioso, poi, a suscitare un cambiamento… e non il contrario.