In questi prossimi mesi di gennaio e febbraio, ascolteremo brani di vangelo tratti dalla vita pubblica di Gesù, inaugurata con il Battesimo al Giordano, di cui abbiamo parlato settimana scorsa.
Ci fermeremo poi, a partire da marzo, per la Quaresima e il Tempo di Pasqua e – ormai a giugno – riprenderemo con la vita “ordinaria” di Gesù.
Ora siamo proprio agli inizi. Gesù ha trent’anni. Ha ricevuto il battesimo da Giovanni Battista ed è tornato al nord, in Galilea, nella sua regione.
È proprio lì che l’evangelista Giovanni colloca il primo “segno” di Gesù, a Cana.
È uno degli episodi più noti dei vangeli, che ha lasciato ampio margine anche ai “meme”, quelle barzellette con immagini che girano sui social. La mia preferita è quella in cui c’è papa Francesco con fare disperato che dice: “Io dico… Ma come si fa a crocifiggere uno che trasforma l’acqua in vino?”.
La vocazione popolare di questo avvenimento è indubbiamente legata al simbolo del vino.
Ma ciò che forse sfugge più facilmente all’attenzione è l’altro elemento: l’acqua.
Dico questo perché nel mio immaginario, ma credo in quello di molti di noi, quell’acqua era l’acqua che c’era a tavola o comunque, l’acqua messa da parte per essere bevuta.
E invece no!
L’acqua trasformata in vino era quella contenuta in «sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei». Si trattava cioè di acqua destinata non a dissetare le persone, ma a purificarle.
Detto un po’ grossolanamente, era l’acqua usata per lavarsi prima di pregare.
Io per anni non ho prestato attenzione a questo dettaglio, che pure è scritto lì, limpido limpido.
Quando poi me ne sono accorta, questo “segno” che mi era parso sempre un po’ poco comprensibile, ha finalmente acquistato senso.
Siamo infatti nella parte iniziale del vangelo di Giovanni, quella in cui ci presenta Gesù, i suoi primi passi sulla scena del mondo.
E questo è il primo segno che Giovanni racconta.
Serve dunque a introdurci nella conoscenza di Lui.
E una delle prime cose che ci vengono dette è che Gesù usa l’acqua della purificazione per trasformarla in vino, per non far finire la festa.
Ora, non so a voi, ma a me, questo sembra un gesto programmatico molto chiaro e dirompente: il messia, il Figlio di Dio usa l’acqua dei riti per farne vino da festa.
In effetti, per noi che sappiamo già come va avanti (e come va a finire) la storia, questo gesto simbolico rimanda immediatamente al tentativo – perpetrato da Gesù per tutta la sua vita – di distruggere la religione per far nascere un modo nuovo di pensare Dio e di rapportarsi a Lui.
La proposta di Gesù – sembra dirci da subito Giovanni – non è quella di una nuova religione, nuovi riti che sostituiscano quelli vecchi, nuovi apparati, nuovi templi.
La sua proposta è quella di una trasformazione: da persone religiose a persone festose.
La religione infatti nasce dalla paura di Dio, che si tenta di placare pensando di rabbonirlo con sacrifici, offerte, fioretti.
La proposta di Gesù invece nasce dalla fiducia in Dio, che essendo solo buono (così Lui ce lo rivela) non fa paura, ma anzi ci rassicura e ci lancia nella vita custodendo per noi un orizzonte di benevolenza.
Pensate che bel capovolgimento sapere che Dio non ci vuole asceti, ma festaioli.
1 commento
Condivido, bel modo di rileggere Cana! La vita (di coppia, di comunità, di fraternità, di Chiesa, di tutti) è festa!
Il rito deve mantenere qs spirito di condivisione e comunione, altrimenti è solo forma..
Animiamo le ns celebrazioni e messe (pasti condivisi, pane spezzato!) con il vino della festa, della gioia del ritrovarsi INSIEME a lodare, ringraziare…Colui che ci unisce